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«Discorsi», «Dialoghi dell'arte della guerra», «Istorie fiorentine»
I Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio in tre libri sono delle considerazioni sul testo liviano che trattano del governo interno dello Stato, dell'organizzazione militare e dell'espansione dello Stato, della stabilità e della decadenza politica. Il fondatore dello Stato è un signore assoluto ma la conservazione si ha preferibilmente con il governo libero, repubblicano, che abbia il consenso popolare e con una forma mista in cui il potere regio sia moderato da nobili e popolo.
In quest'opera non c'è l'urgenza appassionata che il principe prenda le armi per porre fine al «barbaro dominio
», il tono è quello dello studio delle «cose del mondo
» e delle varie etiche politiche del passato che non esclude una società civile secondo l'esempio delle repubbliche antiche e di quella elvetica moderna. Ma anche qui il fine supremo dello Stato assoggetta ogni altra considerazione, compresa quella religiosa.
La religione strumento di governo fu tra «le prime cagioni della felicità
» di Roma perché rese ubbidiente il popolo ma seppe anche in esso suscitare l'amore della gloria mondana mentre il cristianesimo con la mortificazione e la rassegnazione ha spento tale amore. Dal punto di vista politico Machiavelli assegna alla chiesa romana la colpa di non avere ridotto l'Italia a monarchia e di avere impedito che altri lo facesse.
Anche in quest'opera Machiavelli esalta l'uso delle milizie cittadine, tema fondamentale dei sette libri di Dell'arte della guerra (1519-20) dialoghi che si immaginano tenuti a Firenze negli Orti Oricellari (giardini dei Rucellai) nel 1516 e che hanno come interlocutore anche Fabrizio Colonna il quale esprime le idee dell'autore. Machiavelli non soltanto per eliminare la corruttela militare professionale ma soprattutto per unire politica ed esercito, per fare di questo un elemento di forza sostanziale, politica, dello Stato, è sostenitore delle milizie cittadine, come aveva fatto con l'«ordinanza
» del 1512. Non pochi temi dei dialoghi derivano dal mondo classico, soprattutto romano.
Della legione romana, rammodernata dagli esempi svizzeri e spagnoli, deriva il «battaglione» di fanteria elemento decisivo sul campo mentre la cavalleria è utile per inseguimenti, ricognizioni. I dialoghi trattano anche della scelta, dell'istruzione dei soldati, dell'ordinamento degli eserciti, dei combattimenti, delle fortificazioni. Scarsa importanza dà, stranamente, Machiavelli alle armi da fuoco, forse per la loro imperfezione. Tuttavia nel 1512 a Ravenna esse erano state largamente sperimentate, e principi e capi di Stato fabbricano in quegli anni colubrine e bombarde.
Ma ciò che importa nello studiare Machiavelli è l'unità del pensiero e del metodo di indagine del segretario fiorentino. Quando egli scrive le Istorie fiorentine non sempre fornisce notizie accertate e le fonti sono raramente controllate ma i fatti sono, per la prima volta in un'opera storica, coordinati secondo un disegno e sono fatti derivare dalle condizioni reali e dalle passioni degli uomini. L'opera in otto libri, dedicata a Clemente VII, nei primi quattro libri tratta la storia di Firenze fino al 1434, quando si instaura il potere mediceo, e negli altri quattro libri (fino alla morte di Lorenzo il Magnifico) le guerre e le cause che condussero alla servitù.
Eliminato ogni elemento provvidenziale Machiavelli insiste sulla necessità che un personaggio dotato di forte individualità fondi lo Stato sul danno che l'Italia ha avuto dal governo temporale della chiesa, dalle compagnie di ventura, dalla mancanza di veri capi suscitatori e organizzatori del popolo. In questa storia civile Machiavelli, poco curante dei particolari, mira a tracciare le linee generali che derivano da principi del passato validi per il presente.
Anche nella Vita di Castruccio Castracani, signore di Lucca morto nel 1328, Machiavelli derivò i particolari da fonti incerte e attribuì a Castracani fatti e detti riferiti da Diodoro Siculo e Diogene Laerzio a personaggi antichi. La biografia è, così, il ritratto ideale di un principe accorto e valoroso, un modello di eroe del Trecento valido per il principe del Cinquecento.