7 - § 2
L'organizzazione estense della cultura
La posizione dell'intellettuale in Ferrara era una posizione speciale poiché la protezione accordata dagli Estensi alle arti e alle lettere e agli organismi culturali come lo Studio presupponeva in parte anche un servizio in corte e nello Stato. Le cariche più importanti erano dei notai e dottori in legge al servizio dello Stato come consultori o per la trattazione delle cause e appartenevano per lo più a famiglie borghesi, come borghesi erano in origine i medici di corte.
La corte dà la direzione culturale che investe le diverse aree sociali e attrae a sé gli individui che nella società hanno una funzione intellettuale cercando di creare dei tecnici, dei funzionari, dei professionisti che siano in connessione ideologica con l'autorità dello Stato. Le sovrastrutture, in funzione delle quali gli intellettuali esistono, li uniscono al gruppo sociale economico fondamentale senza fare avvertire loro il carattere di «mezzi» del governo politico, sicché gli intellettuali si unificano con la casa d'Este in un sentimento della vita e in una condotta sociale che spesso non deriva neppure da un esplicito consenso, ma è una forma di sonnolenza politica per la quale quegli intellettuali ritengono di essere comunque autonomi e dotati di propri caratteri.
La pratica di una vita più o meno cortigiana alletta i più pigri; i più attivi sono gli intellettuali della borghesia che non già per spirito di corpo ma per desiderio di avanzare si mettono al servizio della corte; altri intellettuali vengono adoperati dalla corte durante il periodo in cui si trovano in Ferrara o vengono chiamati da altre città e regioni per dare lustro al ducato. Direttamente assorbiti dalla corte o «mediati» dalle funzioni specifiche a cui sono addetti, gli intellettuali non sono indipendenti da nessun punto di vista, non escluso quello economico, per il quale anzi più direttamente dipendono dalla dinastia estense.
Gli Estensi hanno il carattere di imprenditori di lavori artistici per abbellire la città (è questo il motivo propagandistico) ma specialmente i loro palazzi e i loro oggetti e si valgono dell'arte per creare le condizioni favorevoli alle espansioni; i rapporti di lavoro però sono subordinati economicamente alle necessità dello Stato (lusso, spese straordinarie etc.) sicché ha uno strano colore, e non poteva non averlo, il mecenatismo della corte che lascia agli artisti la libertà di morire in miseria.
Importa soprattutto notare che gli intellettuali attivi ideologicamente sono funzionari e cortigiani che vivono nell'organismo dirigente dello Stato e che riflettono nei vari ceti sociali la concezione estense dello Stato. La corte si vale dell'organizzazione della cultura che lega gli artisti al potere per averli strumenti di una particolare concezione di classe, e il carattere classista di quella società ferrarese si riflette immancabilmente nelle condizioni economiche di artisti e umanisti.
Profondi appigli con l'ambiente ferrarese ebbe Battista Guarini la cui posizione economica di borghese era stata consolidata dal padre al quale succede nel 1460 nella cattedra. Il Guarini ebbe un vivo senso economico della realtà e insegnamento e vita di corte furono il piedistallo del successo. Ha in regalo da Borso terre vallive da pascolo e seminative perché gli Estensi si accorgono del solido senso borghese che il Guarini aveva e vogliono premiare in lui la concreta attività di chi vuole far fruttare il proprio ingegno. Inteso a preservare in ogni modo il suo patrimonio e ad arricchirlo fu anche quale lettore allo Studio e nel 1472 scrive al duca affinché «non se facesse retentione alcuna
» allo stipendio di lettore richiamandosi a un rescritto di Borso favorevole all'accoglimento di una domanda simile di Ludovico Carbone «salariato pari modo et per questa medesima cagione
».
Infatti esiste una significativa lettera del Carbone del 1469 in cui l'umanista sente la propria qualifica di uomo di lettere e scrive:
li lettere deno pure haver qualche avantaggio da li altri offitiali idiotti e cusi afermano li fattori […]; che non minuiscano quello pocho che cum grande e laudabile fatighe meritano.
Da questa lettera si ricava che il reale allineamento dell'uomo di studio sul piano dei funzionari e ufficiali di governo non soddisfa l'aspirazione idealistica del letterato che ideologicamente crede di essere indipendente e di fare parte a sé per una superiorità che le lettere gli conferiscono rispetto agli idioti, ed è significativo che Borso accondiscenda alla richiesta del Carbone. Il Guarini ormai sente acquisito il principio economico come un principio di categoria, dei salariati lettori, e ad esso si richiama.
Il borghese è alla conquista di nuove posizioni: nel 1486 riceve da Ercole I la conferma delle esenzioni fiscali, concessegli nove anni prima, sulle terre di Mellara derivanti da confische fatte «per delitto» a Bartolomeo Piparata e Domenico Manarini; diviene precettore di Isabella, nel 1491 «gubernator» di Don Alfonso che accompagnerà a Roma, sì dà da fare con Isabella a cui raccomanda come damigella una propria figlia. Isabella nel 1496 lo esenta dal pagamento di dazi e gabelle nello Stato mantovano. Non senza motivo il Guarini è sempre attaccato alla corte. Diventato personaggio rappresentativo in Ferrara per il nome paterno, la propria attività economica e culturale, la posizione acquistata presso la corte, Battista Guarini è nel vivo degli interessi pratici con una spregiudicatezza economica più spigliata dell'artigianesco senso di costruzione rurale-casalingo che aveva avuto il padre.
Ercole I nel 1497 lo fa sussidiare dal Comune, presieduto da Tito Vespasiano Strozzi, con cento fiorini d'oro e con laterizi e l'anno seguente con 1700 lire nella fabbricazione di un palazzo; nel 1502 Guarini scrive a Isabella: «tante altre sono le abbligatione che ho verso la Ex. V., che non solo libri, ma et la persona et la roba sono a comando da quella
».
Dalla borghesia di corte alla nobiltà il passo può essere breve, e la famiglia Guarini sarà da ora in poi una delle nobili famiglie che continuerà a dare umanisti e letterati.