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Scrittori in prosa
Anche nella prosa i livelli stilistici e ideologici sono diversi. La prosa ascetica circola per tutto il secolo con una infinità di scritture di storia sacra, leggende di santi ed eremiti, prediche, lettere, trattati, meditazioni, rimaneggiamenti, traduzioni miranti a fare opera di edificazione e di pietà e, per questo motivo, spesso anonime. Altre opere sono da porsi in relazione a ondate di spiritualismo collegato con le pestilenze del 1348, del 1363, del 1374 che intensificarono i pellegrinaggi e le manifestazioni collettive di devozione. Nel 1399 una esaltazione degli spiriti scoppiò per la notizia di miracolose apparizioni e di minacciosi avvertimenti: compagnie di devoti, scalzi, vestiti di bianco (furono detti i Bianchi) andarono in processione flagellandosi, predicando la pace e cantando inni.
La religiosità ebbe nel Trecento atteggiamenti diversi: dai francescani derivò il movimento antigerarchico e pauperistico dei Fraticelli che combatteva la degenerazione della chiesa; i domenicani offrirono nella letteratura modelli semplici e popolari del loro apostolato; Caterina da Siena nel suo discorso comprende i problemi ecclesiastici fondamentali dell'età sua, la riforma della Chiesa, l'autonomia del papato, la pace fra le città italiane.
La richiesta di un nuovo ordine etico-sociale portata avanti dai movimenti pauperistici, che furono considerati ereticali, fu duramente polemica ed ebbe i caratteri di fenomeno popolare. Il più noto dei volgarizzamenti trecenteschi e il maggior documento della letteratura francescana sono i Fioretti di S. Francesco compilati da un anonimo toscano che rimaneggiò un originale latino (Floretum) alla metà del secolo: gli «esempi
» dei predicatori costituiscono la struttura dell'opera che raccoglie, leggende, miracoli, discorsi del Santo e documenta il significato dell'opera del Santo per i suoi contemporanei e per le epoche immediatamente seguenti. Ma nell'opera mancano i segni dei fermenti sociali e della crisi della chiesa.
Anche in
Domenico Cavalca1 (c. 1270 - 1342) di Vico Pisano, domenicano, volgarizzatore delle
Vite dei Santi Padri e autore di
Frutti della lingua,
Lo specchio dei peccati,
Il pungilingua,
Lo specchio della Croce,
Il trattato della pazienza, è un candore di fiaba e di irrealtà quando propone la pratica della pazienza e colpisce i difetti, morali.
Predicatore fu il domenicano fiorentino
Jacopo Passavanti2 (c. 1302 - 1357), lettore di teologia a Pisa, Siena e Roma. Nello
Specchio di vera penitenza sono raccolte le prediche tenute nella quaresima del 1354 rafforzate da esempi di visioni di pene eterne, di tentazioni diaboliche, di leggende di morti che ritornano sulla terra a descrivere i loro tormenti. In queste narrazioni Passavanti manifesta capacità di analisi psicologica, di rendere pittoresche le situazioni con la descrizione finale del miracolo.
Le lettere ascetiche sono il mezzo di cui si serve
Caterina Benincasa da Siena3 (1347 - 1380) per porre un freno alla decadenza della chiesa e per manifestare il suo acceso misticismo. Entrata giovanissima fra le mantellate terziarie domenicane si gettò nella milizia religiosa con una lucida consapevolezza dei problemi del suo tempo, sorretta da un ardore incontenibile. Tutte le forze della sua personalità sono concentrate nel sostenere le riforme della Chiesa e il ritorno della sede papale a Roma (che fu compiuto da Gregorio XI nel 1377). Logica e ardore sono uniti nelle sue lettere che indirizza a papi, re, cardinali, principi, signorie, dottori d'università, uomini del popolo, parlando e comandando in nome di Cristo.
L'ardore religioso esprime accesa eloquenza, immagini potenti, l'equilibrio stilistico trecentesco è oltrepassato dalla tensione eroica di questo grande personaggio mistico-politico che ha pochissimi altri riscontri di militanza, di apostolato, di impegno nella moderata vita religiosa e civile della nostra storia. Al papa ricorda che egli è «
celleraio [cantiniere] a ministrare 'l sangue di Cristo crocifisso
», che deve fondarsi sulla «
margarita della giustizia
» appoggiandosi a una brigata di pastori e cardinali che siano «
drittamente colonne»; con il predicatore Raimondo di Capua parla del proprio stato mistico («Io muoio e non posso morire
») e giustifica il «troppo scrivere, perocché le mani e la lingua s'accordano col cuore»; in altra lettera allo stesso Raimondo descrive la decapitazione del perugino Nicolò di Toldo da lei assistito fino agli ultimi istanti della vita:
- Le mani dello Spirito Santo el serravano dentro […] non vi maravigliate se io non v'impongo che 'l desiderio di vedervi altro che anegati nel sangue e nel fuoco che versa el costato del Figliuolo di Dio
.
Alle scritture ereticali appartiene l'anonima Storia di fra Michele minorita che narra la prigionia, il processo e la morte di Michele Berti da Calci, fraticello della Povera Vita, condannato al rogo dall'inquisizione e dal governo di Firenze nel 1389. Nelle grandi pagine della morte sono opposti i profili degli inquisitori e la fermezza d'animo di fra' Michele.
Fra le cronache in volgare che testimoniano la realtà politica e sociale del secolo hanno rilievo quelle del Compagni e del Villani.
Dino Compagni4 (c. 1255 - 1324) fiorentino, di famiglia guelfa popolana, oppositore dei Neri e della politica di Bonifacio VIII, sostenne Giano della Bella e nel 1293 fu gonfaloniere di Giustizia. Priore nel 1301 evitò l'esilio che colpì i Bianchi in virtù della legge che vietava persecuzioni in danno dei cittadini che da meno di un anno avevano tenuto il priorato. La
Cronica delle cose occorrenti nei tempi suoi in tre libri vuol essere un ammaestramento per i concittadini. In essa la materia è investita di passione, di sentimento morale offeso che gli ispirano pagine di drammatica eloquenza, di apostrofi contro i fiorentini malvagi che hanno corrotto Firenze. Dino rappresentava il principio comunale democratico di tradizione moderata violentato dalla fazione brutale dei Neri: bene e male hanno un forte rilievo nella sua cronaca di vita vissuta colorata drammaticamente dalle vicende che anche Dante soffrì. Ritratti, invettive, descrizione del colpo di stato risentono della passione di Dino perfettamente equilibrata, nell'opera, con lo stile vigoroso e dantesco, che si richiama a un mondo di valori religiosi e civili:
- O iniqui cittadini, che tutto il mondo avete corrotto e viziato di mali costumi e falsi guadagni! Voi siete quelli che nel mondo avete messo ogni male uso. Ora vi si ricomincia il mondo a rivolgere addosso: lo Imperadore con le sue forze vi farà prendere e rubare per mare e per terra.
Alla vivacità di Dino che entra di colpo nelle cose dei tempi suoi fa contrasto la
Cronica di
Giovanni Villani5 (m. 1348), mercante fiorentino che viaggiò molto in Francia e Fiandre, fu tre volte priore dal 1316 al 1328 ed ebbe molti incarichi pubblici. La sua opera in dodici libri inizia con la distruzione della torre di Babele; l'elemento leggendario lascia il posto a relazioni, documenti ufficiali, notizie sulle finanze, sui costumi, le condizioni economiche di Firenze, lo stile è monotono. Questa cronaca di un guelfo nero è assai utile per l'equilibrio con cui sono viste le relazioni di Firenze con le altre regioni, con gli Stati d'Europa nonché le stesse lotte fiorentine. Essa fu continuata dal fratello Matteo e dal nipote Filippo fino al 1364. Leggendo le pagine del Villani sull'economia di Firenze o quelle scientifiche di Marco Polo nei riferimenti alla geografia, agli usi e costumi di diversi paesi o anche i viaggi in Terrasanta di Leonardo Frescobaldi, Niccolò da Poggibonsi, Simone Sigoli, si ha l'immagine, per l'ampiezza delle vedute, lo sguardo sulla realtà, l'assenza di fanatismi, del distacco dagli schemi acritici medievali.
La realtà, spesso, di piccoli fatti di tutti i giorni e di personaggi piccolo-borghesi e popolani è nelle novelle del fiorentino Franco Sacchetti (c. 1332 - 1400) ricche di aneddoti, burle, trovate, risposte pronte, segno della vasta conoscenza che aveva degli uomini lo scrittore. Viaggiatore in qualità di cambiatore, rettore e podestà in diversi paesi, disgustato (come i benpensanti) dagli eccessi del popolo minuto fiorentino, sostenne la nuova Signoria fondata sul «mezzano popolo
» che rappresentava il suo ideale di equilibrio: «ogni mezzo essalta, | dal mezzo quasi mai non vien di falta
» scrive nelle sue rime. Nelle duecentoventitre novelle che avanzano del Trecentonovelle è il dispiacere del tramonto di un sistema di vita che ha fatto emergere l'instabilità della condizione individuale e collettiva.
Il mondo di Sacchetti è quello del comico, della caricatura, movimentato da una moltitudine di personaggi in rilievo per gesti, atteggiamenti, incontri, contrasti, baruffe. Il burlone, il buffone spiccano in questa convivenza di borghesi e popolani stanchi, privi di slancio creativo, perché danno il tono ridanciano al bozzetto che serve al Sacchetti per deplorare la vanità delle donne, la debole fede religiosa, la corruzione degli ecclesiastici. Il Sacchetti scrisse anche il poemetto encomiastico Battaglia delle donne belle di Firenze, il Libro delle Rime e le Sposizioni dei Vangeli. Al mondo del Sacchetti può essere avvicinato quello di Ser Giovanni Fiorentino autore di cinquantatré novelle intitolate Il Pecorone in cui parla di personaggi gabbati e di altri che derivano dalla cronaca del Villani.
Nella prosa dei volgarizzamenti di Ovidio, Sallustio, Virgilio, Valerio Massimo, Boezio, pur tra rimaneggiamenti e considerazioni morali, ci si avvicina ai motivi che saranno dell'umanesimo. Per moto spontaneo ritorna al classicismo il padovano
Albertino Mussato6 (1261 - 1329) avversario di Cangrande, di Marsilio da Carrara ed esule a Chioggia. La sua personalità intellettuale è tra le maggiori del secolo per l'amore verso i classici (insieme col vicentino Ferreto de' Ferreti) e per l'odio contro i tiranni che trova espressione nella tragedia
Ecerinis scritta per mettere in guardia i suoi concittadini minacciati da Cangrande: Ezzelino e Alberico da Romano sono rappresentati nella loro crudeltà e nella loro orrenda morte.