Capitolo

21

Dalla Resistenza ai nostri giorni


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
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21 - § 4

Pier Paolo Pasolini e lo sperimentalismo


Il problema dell'esaurimento del realismo era effettivo ma bisognava affrontarlo per trovare vie nuove. La generica unità antifascista è spezzata a metà degli anni Cinquanta: svolta moderato-clericale del 1948, rifiuto politico di affrontare il problema meridionale e scelta politico-economica in favore della grande industria settentrionale la quale favorisce l'emigrazione della forza-lavoro meridionale nel Nord per competere con l'industria straniera, guerra fredda internazionale, economia multinazionale creano trasformazioni sociali ed economiche profonde e una società di massa che a metà degli anni Cinquanta manifesta nuove esigenze e dirompe in modi nuovi di vita.
Affermare — in tale rottura dei vecchi stampi, nella nuova imponente e cogente pedagogia dei consumi e del cosiddetto «boom economico» — le posizioni antifasciste e fare il pianto greco sulla realtà del Mezzogiorno abbandonato non era ormai che un alibi da logori umanisti di fronte ai problemi presentati dal diluvio industriale dalla configurazione di una società di massa in cui i singoli avevano perduto la vecchia identità e acquistavano i segni anonimi dell'individuo alienato e sonnambolico. La cultura attestata ottimisticamente sulla difesa di valori rapidamente consumati, come così rapidamente mai era avvenuto nella storia, diventava francamente arretrata e passatista.
In questa situazione la più bruciante testimonianza dei tempi, proprio per le sue contraddizioni, è offerta da Pier Paolo Pasolini1 (1922-75). Nato a Bologna e vissuto dopo la laurea a Casarsa, nel 1949 si trasferisce a Roma, nel 1955 fonda a Bologna «Officina» (1955-59) con Francesco Leonetti e Roberto Roversi (nella seconda serie della rivista si aggiungono Angelo Romanò, Franco Fortini, Gianni Scalia).
Lacerazione tra natura e storia resa profonda dall'inferno di un mondo borghese industriale che non ha mutamento, antitesi dialettica attiva di un mondo evangelico-contadino preindustriale sono i termini costanti della drammatica realtà contemporanea di Pasolini. Da essi si irradiano la demistificazione che lo scrittore fa del non-civile neocapitalismo, l'ipotesi sempre più ostinata di rapporti umani nel quadro di una natura pur essa immutabile, la ricerca delle ragioni essenziali di vita al di fuori dell'ambito letterario, la negazione attiva come vitalità, l'impossibilità di mutare il sistema, una sorta di fatalismo astorico, le regressioni e il ritorno alle mitologie etc.
Nessuno scrittore del dopoguerra (molti, abbiamo visto, coltivavano il loro giovanile decadentismo) è stato inserito autenticamente come Pasolini nelle tensioni del mondo contemporaneo con le denunce delle devastazioni compiute nell'animo popolare e nel sottoproletariato dal sistema industriale aberrante. Per l'autenticità della ricerca, per la volontà di testimoniare l'emarginazione, per le sue posizioni pedagogicamente impopolari è stato oggetto di campagne e di linciaggi da parte di avversari dichiarati e, soprattutto, di avversari silenziosi, offesi dal suo desiderio di dare scandalo e cercare la verità contro i conformismi.
Le scelte istintive — quando nessuno conosceva le idee di Gramsci — furono nella prima giovinezza il dialetto come modo di aderire alla realtà (contrapposto alla lingua aulica e letteraria) e il mondo contadino di un Friuli scenario di una fanciullezza innocente. Queste scelte (Poesie a Casarsa, 1942; La poesia dialettale del '900, 1952; Tal cour di un frut, 1953 e altri versi raccolti in La meglio gioventù, 1954) risentono di elementi decadenti vivi nella formazione culturale del poeta il quale si sente tragico protagonista-vittima della fine dell'innocenza e dell'avvento della morte.
Ma l'irrazionale rivolgersi verso il mondo preistorico della natura (mai abbandonato e sempre uno dei poli del suo conflitto) esige una chiarificazione intellettuale, una spiegazione razionale della crisi, e Pasolini con La scoperta di Marx (sezione delle poesie in lingua L'usignolo della chiesa cattolica, 1943-49, edite nel 1958) entra nella storia: marxismo, comunismo, Gramsci entrano nel magma soggettivo di Pasolini (che dopo la sconfitta elettorale dei lavoratori nel 1948 era stato segretario della sezione comunista di S. Giovanni di Casarsa dove affiggeva come manifesti murali suoi apologhi in friulano) in un coinvolgimento ambiguo ma carico di potenzialità rinnovatrice. L'impasto di storia e mito, politica e moralità, sottoproletariato e capacità di lotta antiborghese e anticapitalistica sono connotati dell'istanza sociale e religiosa di quegli anni e portano a galla i fermenti oscuri della società italiana urbana e contadina.
Nei poemetti delle Ceneri di Gramsci (1954, editi nel 1957) la tradizione poetica e linguistica è modificata, la tensione espressiva è in funzione della comunicazione, la poesia civile è guidata dalla ragione che illumina il poeta sulla sua condizione di intellettuale borghese che prende coscienza della realtà. L'equilibrio di questi poemetti si sposta, nel romanzo Ragazzi di vita (1955), verso un elemento del conflitto, il sottoproletariato delle borgate romane cresciute dagli ultimi anni del fascismo con le emigrazioni del dopoguerra.
L'immersione nel populismo naturalistico è desiderio di ricreazione di un mondo vergine, testimonianza viva di contestazione contro il sistema. Ai contadini del Friuli Pasolini sostituisce la nuova realtà presociale del sottoproletariato, del dialetto-difesa della sua naturalezza contro l'avanzata corruttrice della borghesia.
In un altro romanzo (Una vita violenta, 1959) Pasolini si propone di avvicinare il sottoproletariato alla storia attraverso il cammino politico e la lotta. Questo proletariato è per Pasolini società rivoluzionaria, asceticamente umile e non edonistica; da esso sarebbero usciti i nuovi apostoli che avrebbero attuato la palingenesi come gli schiavi di duemila anni prima (così li vedrà ancora nel film Il Vangelo secondo Matteo del 1964).
Il piccolo imborghesimento del sottoproletariato farà cadere tutte le speranze di Pasolini che proseguirà, come vedremo, da solo la lotta contro l'universo consumistico. Ma tra il 1955 e il '60 con «Officina» fa i conti con la situazione culturale e individua come sopravvivenze: l'ermetismo (fiancheggiatore dell'irrazionalità fascista), il neorealismo (nuova arcadia dialettale dotata di scarso apparato letterario e formale). Il primo era un novecentismo aggiornato, il secondo era tradizione ottocentesca in cerca di nuovi supporti ideologici: Pasolini problematizza il rapporto tra interiorità singola e oggettività sociale e vede come via d'uscita lo sperimentalismo «sprofondato in un'esperienza interiore» come «lotta innovatrice non nello stile ma nella cultura», in una visione politica in cui domina
  1. lo spirito di Gramsci [...] tanto più libero quanto più segregato dal mondo, fuori dal mondo, in una situazione suo malgrado leopardiana, ridotto a puro ed eroico pensiero.


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