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Il romanzo di appendice. Carolina Invernizio
Il pubblico popolare è stato tenuto scarsamente presente in Italia dai letterati il cui nutrimento culturale è stato di solito umanistico o libresco, cioè lontano dagli interessi della più larga cerchia di lettori. Anche lo scrittore non nutrito di cultura umanistica (Verga, per esempio) scrive per un pubblico che ha interessi letterari.
Alla fine dell'Ottocento è la Francia, ricca di tradizioni democratiche e di scrittori interpreti dell'anima popolare, la nazione dalla quale vengono trasferiti in Italia i romanzi con intrecci sensazionali di vicende amorose, avventurose, criminali nella cui lettura il popolo riconosce alcuni suoi motivi fondamentali parteggiando per l'eroe innocente e perseguitato, per il protagonista di grandi imprese o, se il romanzo tende all'evasione, si abbandona al fantasticare e al sognare. Diego Martelli nei Ricordi della mia prima età racconta che in casa sua fin dagli anni tra il 1849 e il 1859 degli amici radunati (ed erano letterati) per leggere L'ebreo errante di Sue «chi si strappava i capelli, chi pestava i piedi, chi mostrava le pugne al cielo
».
Nella seconda metà dell'Ottocento si cominciarono a pubblicare in appendice a giornali, periodici, riviste le traduzioni dei romanzi stranieri: ideologico-politico di tendenza democratica (Victor Hugo, Eugène Sue), di intrigo con ideologia conservatrice (Xavier de Montépin), storico (Alexandre Dumas, Ponson Du Terrail), tenebroso (Ann Radcliffe), poliziesco (con gli eroi Rocambole, Sherlock Holmes, Arsenio Lupin), scientifico d'intrigo (Jules Verne) o con l'ideologia del fatale progresso scientifico.
Il napoletano Francesco Mastriani (1819-91), impiegato di dogana e precettore, fece una professione dell'attività di scrittore di appendici. Sui giornali napoletani pubblicò più di cento romanzi. Alla prima fase patetico-sentimentale con intrighi cupi appartiene la Cieca di Sorrento mentre nella seconda (una trilogia «socialista
» composta da I vermi, Le ombre, I misteri di Napoli) Mastriani accumula gli elementi adatti a una indagine sociale sui costumi e la vita dei «bassi
», della «camorra
», e li descrive con diversi piani linguistici. La sua ideologia è una ingenua fede socialista-evangelica, il suo stile si avvicina al realismo. Scrisse anche La sepolta viva, Il barcaiuolo di Amalfi, I lazzari che ebbero un numeroso pubblico per l'uso appropriato delle tecniche psicologiche della narrazione. Ma lo scrittore comprese anche i problemi sociali, che non descrisse solo nei fenomeni (carcere, prostituzione, malavita, brigantaggio, miseria) ma anche nelle cause.
Sepolta viva è anche il titolo di uno dei romanzi più sadici e carichi di orrore di
Carolina Invernizio1 (1851-1916) vogherese, autrice di una cinquantina di romanzi che ebbero diffusione immensa in Italia e tra gli emigrati italiani in America.
La scrittrice muove dall'archetipo della famiglia borghese, lo sconvolge per mezzo di un adulterio (donna fatale e demoniaca che travolge l'uomo) spesso complicato da delitti e violenza (assassinio, avvelenamento, infanticidio, deturpazione, stupro) che accentuano la tensione morbosa, lo ricompone ricostituendo l'ordine con efficaci (spesso sadiche) punizioni e riparazioni. La genesi delle infrazioni è negli elementi economici e patrimoniali della famiglia borghese, la seduzione è irresistibile, i frutti del peccato devono molto patire prima di essere riconosciuti.
Queste deviazioni moderate sono inglobate nei temi di orrore, sangue, morte che sollecitano le emozioni dei lettori ma derivano anche da inibizioni che la scrittrice cerca di compensare con la narrazione di donne sepolte vive, avvelenate, fatte a pezzi, chiuse nel baule, in soffitte, in cantine, in caverne etc. Non poche vicende di romanzi derivano dalla cronaca nera e dai famosi processi penali del tempo, hanno la loro catarsi punitiva e riescono accette alla morale comune.
Altri romanzi racchiudono un elemento di mistero, un «
giallo
» che si apre a poco a poco e fa vedere la donna seduttrice come «
grande impura
», «
maliarda
», «
creatura infernale»: Nara del Bacio di una morta è ballerina giavanese, simbolo di donna perduta:
i suoi occhi brillavano più dei brillanti ch'ella portava agli orecchi […] i palpiti del suo cuore le sollevavano a sbalzi il petto […] ella si sdraiò sulla pelle di tigre che era presso l'ottomana […] e rivolse su di lui le pupille languide, umide, tendendogli le mani.
I titoli stessi dei romanzi sono significativi del gusto dell'Invernizio: Bacio infame, La peccatrice, La vendetta di una pazza, Anime di fango, La donna fatale, La morta nel baule, Il cadavere accusatore, I misteri delle cantine, Il cadavere nel Po, L'impiccato delle Cascine.