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Il brigantaggio meridionale e la «Relazione» Massari
Nel carnevale napoletano del 1868 a una Colombina vestita di tricolore un gruppo di Pulcinella laceri canta:
«T'haie fatto la vunnella talià, | te l'h'aie fatta de tre culure | e naie simme rimaste annure» [Ti sei fatta la gonnella italiana, | te la sei fatta di tre colori | e noi siamo rimasti nudi].
I versi esprimono la condizione delle plebi cittadine meridionali dopo l'unità. Nelle campagne la rivolta contadina postunitaria vigoreggiò contro il compromesso politico tra i moderati e gli agrari, come disperata protesta anarchica contro la mancata rivoluzione agraria. I legittimisti borbonici e stranieri cercarono di indirizzare secondo una linea politica reazionaria il brigantaggio (come nel tempo delle repubbliche giacobine e in quello della guerriglia antifrancese) aiutando gli sbandati del disciolto esercito borbonico con l'invio di loro agenti.
La rivolta contadina era anche espressione politica del distacco delle grandi masse proletarie dalle forze dirigenti risorgimentali: contadini delusi dalle usurpazioni delle terre compiute dagli agrari, sbandati, renitenti alla leva, reazionari legittimisti aiutati dallo Stato pontificio contro l'usurpatore scomunicato si trovarono uniti nella guerriglia. La borghesia agraria, prontamente sabauda per salvaguardia dei propri interessi, costituiva la nervatura politica e sociale del nuovo Stato: in questo essa controllava i modi di amministrare i municipi, di ripartire le imposte, di reclutare la guardia nazionale.
Lo sviluppo del capitalismo e la soggezione dei contadini (che perdevano con le usurpazioni e con gli acquisti di terre demaniali compiuti dagli agrari i diritti di legnatico e di pascolo) restavano le componenti essenziali del nuovo Stato unitario ma in tal modo le alleanze di classe e i compromessi politici e sociali schiacciavano le rivolte dei «briganti
» tra le cui ragioni fondamentale era il possesso della terra.
Grande momento di lotta agraria di classe, e scaturente dalle condizioni di vita dei contadini, il brigantaggio fu garanzia di libertà oltre che tentativo di modificazione di stato politico, economico e sociale da parte di contadini emarginati e sottoproletari carichi di potenzialità rivoluzionaria. Lo Stato unitario compì la sua scelta di classe incorporandosi le vecchie forze dirigenti: il compromesso garantiva la repressione del contadiname e della saldatura delle opposizioni, apriva la via alla militarizzazione del controllo delle città e delle campagne, isolava i contadini ai quali lasciava la libertà della grande emigrazione.
Anche la cultura borghese scivolava lungo la china dello Stato forte monarchico, dell'evasione pseudo spirituale, risolutamente contraria al naturalismo ma disponibile per il bozzetto sentimentale, per la retorica sociale, per l'innografia patriottica dei «vati
». Anche la cultura ufficiale dava il suo contributo alla sconfitta storica della rivoluzione.
Nel 1866 Giuseppe Massari, a conclusione dell'inchiesta parlamentare sul brigantaggio, preparava la
Relazione sulle cause sociali nel Mezzogiorno d'Italia che veniva letta e discussa il 3, 4, 5 maggio alla Camera dei Deputati riunita in comitato segreto. Il rapporto Massari teneva conto anche degli incitamenti alla rivolta che provenivano dai Borboni, protetti da Pio IX e rifugiati a Roma, e proponeva misure di polizia per ristabilire l'ordine pubblico. Ma il significato basilare della relazione consiste nella ricerca delle cause del brigantaggio, non tanto dovute alla crisi politica che dava gravi scosse al principio di autorità e rallentava i vincoli sociali quanto alle strutture preesistenti all'Unità d'Italia:
Le prime cause adunque del brigantaggio sono […] la condizione sociale, lo stato economico del campagnuolo, che in quelle provincie appunto, dove il brigantaggio ha raggiunto proporzioni maggiori, è assai infelice. Quella piaga della moderna società, che è il proletariato, ivi appare più ampia che altrove. Il contadino non ha nessun vincolo che lo stringa alla terra. La sua condizione è quella del vero nullatenente, e quand'anche la mercede del suo lavoro non fosse tenue, il suo stato economico non ne sperimenterebbe miglioramento. Dove il sistema delle mezzerie è in vigore, il numero dei proletari di campagna è scarso; ma là dove si pratica la grande coltivazione, sia nell'interesse del proprietario, sia in quello del fittavolo, il numero dei proletari è neccessariamente oppresso. Tolgasi esempio la Capitanata. Ivi la proprietà è raccolta in pochissime mani: la stessa denominazione di proprietari anzi è inesatta, poiché in realtà essi non sono veri proprietari, ma censuari vassalli del Tavoliere di Puglia; ed ivi il numero de' proletari è grandissimo.
Il Massari sosteneva che nelle province in cui lo stato economico e la condizione sociale dei contadini erano miseri il brigantaggio si diffondeva rapidamente e aveva vita tenacissima:
Tanta miseria e tanto squallore sono naturale apparecchio al brigantaggio. La vita del brigante abbonda di attrattiva per il povero contadino, il quale, ponendola a confronto con la vita stentata e misera che egli è condannato a menare, non inferisce di certo dal paragone conseguenze propizie all'ordine sociale. Il contrasto è orribile, e non è a meravigliare se nel maggior numero dei casi il fascino della tentazione a male oprare sia irresistibile. I cattivi consigli della miseria non temperati dalla istruzione e dalla educazione, non infrenati da quella religione grossolana che si predica alle moltitudini, avvalorati dallo spettacolo del cattivo esempio prevalgono presso quegl'infelici, e l'abito a delinquere diventa seconda natura. La fioca voce del senso morale è soffocata, ed il furto anziché d'essere ripugnanza appare mezzo facile e legittimo di sussistenza e di guadagno, ond'è che sorgendo dall'occasione l'impulso al brigantaggio le sue fila non indugiano ad essere ingrossate. Su 375 briganti che si trovavano il giorno 15 aprile prossimo passato nelle carceri della provincia di Capitanata, 193 appartengono al misero ceto dei così detti braccianti.
Le conclusioni della relazione corrispondevano alla realtà sociale ma ponevano in ombra il compromesso politico delle classi dirigenti. Tuttavia esse sono, ancor oggi, di indubbia utilità:
Il sistema feudale spento dal progredire della civiltà e dalle prescrizioni delle leggi ha lasciato una eredità che non è ancora totalmente distrutta: sono reliquie d'ingiustizie secolari che aspettano ancora ad essere annientate. I baroni non sono più, ma la tradizione dei loro soprusi e delle loro prepotenze non è ancora cancellata, ed in parecchie delle località che abbiamo nominate l'attuale proprietario non cessa dal rappresentare agli occhi del contadino l'antico signore feudale. Il contadino sa che le sue fatiche non gli fruttano benessere né prosperità; sa che il prodotto della terra innaffiata dai suoi sudori non sarà suo; si vede e si sente condannato a perpetua miseria, e l'istinto della vendetta sorge spontaneo nell'animo suo. L'occasione si presenta; egli non se la lascia sfuggire; si fa brigante; richiede vale a dire alla forza quel benessere, quella prosperità che la forza gli vieta di conseguire, ed agli onesti e mal ricompensati sudori del lavoro preferisce i disagi fruttiferi della vita del brigante. Il brigantaggio diventa in tal guisa la protesta selvaggia e brutale della miseria contro antiche secolari ingiustizie.
A questa condizione meridionale è direttamente collegato Vincenzo Padula autore di una grande inchiesta sociologica sulla Calabria pubblicata sul «
Bruzio
» (1864-65). In quelle pagine sono studiati i problemi agricoli, economici, sociali (brigantaggio, imposte, mancanza di industrie, qualità delle terre e delle coltivazioni) rivelando i lieviti illuministici, giacobini, anticuriali dell'autore. Le pagine sulle condizioni dei contadini, usi, tradizioni, superstizioni, canti popolari sono il principale documento di vita regionale che abbiamo in Italia, di una regione in cui De Sanctis, entrando per sfuggire un mandato di cattura, fu costretto a dire «
Il feudalesimo qui è ancora in vigore
». Il «
Bruzio
» venne fuori durante il periodo acuto del malcontento dei contadini affamati e delusi per non avere ottenuto la terra, l'oltranza dei proprietari di latifondi che volevano mantenere le usurpazioni, la propaganda dei legittimisti borbonici e dei clericali.
Le grandi pagine sui contadini
(La classe più numerosa e miserabile è quella dei braccianti. Fino ad otto anni il fanciullo calabrese va dietro all'asino, alla pecora ed alla troia; a nove il padre gli pone in mano la zappa e la pala, in spalla la corba, lo conduce seco al lavoro e lo mette in condizione di guadagnarsi 42 centesimi al giorno)
e sugli «uccelli grifoni
» (i galantuomini usurpatori, detti anche «ladri in giamberga
», in abito lungo) sono un eccezionale contributo allo studio dello «stato delle cose
». L'illuminismo e il giansenismo del prete liberale Padula si giustificano nel quadro autoritario e dogmatico postunitario:
Se il lettore farà ragione per averci in conto di teneri fautori dei frati e delle monache, non ci conosce affatto; noi nascemmo al secolo XVIII […] Beato. il genere umano se il Papa fosse infallibile. Quanti dubbi non sparirebbero, quante verità non si conoscerebbero! Non la medicina, non la fisica, non la chimica sono scienze problematiche; la scienza problematica, dove non si trova né capo né coda, è appunto la Teologia morale […] II re d'Italia non può fare una legge per i francesi, perché i francesi non gli appartengono, e il Papa come tale non può condannare né i panteisti né i materialisti, e via dicendo; perché costoro non essendo cristiani non gli appartengono, e sono fuori della Chiesa.
Il progressismo di Padula mirava a modernizzare la società calabrese in cui «
vi hanno uomini del genere crittogama, che s'impiantano e vivono sulle carni degli altri uomini
», e nelle cronache del «
Bruzio
» c'è la satira di quei preti che erano avversi agli asili di infanzia e favorevoli alle processioni paganeggianti. Nelle pagine sul brigantaggio Padula coglie il legame tra il brigantaggio e la questione demaniale, ma, pur desideroso di moralizzare la vita civile, non comprende, per timore di una rivolta generale delle popolazioni, la guerra contadina, guerra «
dei poveri, che diventano briganti, e depredano le terre mal tolte
».