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Moderatismo e cultura nell'età della Restaurazione
Il Congresso di Vienna (1815) costituì anche per l'Italia una forzata restaurazione politico-geografica nelle condizioni precedenti alla Rivoluzione francese. Ma l'Illuminismo, nonostante la sua crisi, e le rivoluzioni, nonostante i fallimenti, aveva maturato esigenze di libertà e di nazionalità che si manifestano, dal 1820 al 1848, con i moti insurrezionali per una nazione italiana libera e indipendente. Le motivazioni ideali che lievitano l'azione risorgimentale erano state accresciute alla fine del Settecento dall'indebolimento del papato come potenza europea, dai patrioti repubblicani (non pochi dei quali erano anche unitari), dagli esuli, dai rivoluzionari finiti sui patiboli. Allora si erano venuti formando i nuclei di una tradizione italiana laica indipendente dal papato che cominciano a trasformare la cultura e più tardi, anche se per breve tempo (con Pio IX), influenzeranno la forza cattolico-liberale spingendola sul terreno unitario.
Da questi nuclei di liberali si formeranno anche i partiti politici del Risorgimento fautori di uno Stato laico opposto al Vaticano cosmopolita-clericale. Il Risorgimento, però, per la ristrettezza di visione della borghesia — che non fu capace di esserne la forza motrice — non si svolse come rivoluzione unitaria ma nell'ambigua condotta di una classe paurosa delle masse popolari e intesa a mantenerle soggette.
Il grado di coscienza della borghesia italiana si misura dalla sua funzione di dirigere il popolo e di averne il consenso, funzione che non venne esercitata nel periodo della restaurazione in cui le forze borghesi cercarono di limitare le conquiste rivoluzionarie, di dare una soluzione moderata al processo di risorgimento. I moderati, invece, rivalutatori delle forze cattoliche, riuscirono ad esercitare un'egemonia frenante sugli intellettuali essendo gruppi sociali abbastanza omogenei e potenti (classi alte, organizzatori politici, grandi agricoltori, imprenditori, padroni di tenute e aziende), legati alle attività amministrative: da essi dipendevano le attività tecnico-scolastiche, i congressi di scienziati, le riviste.
Il frazionamento dell'Italia in Stati impegnava le avanguardie borghesi ad attuare la propria ascesa attraverso la politica del risorgimento nazionale in funzione della successiva fase di affermazione politico-economica. Per attuare tale conquista (governo costituzionale e Parlamenti con fortissime rappresentanze politiche di proprietari-produttori e imprenditori) occorreva abbandonare la formula dell'assolutismo «
trono-altare
» e perseguire l'«
ordine-progresso
». In un congresso torinese Raffaele Lambruschini codificò il paternalismo della pedagogia rurale come metodo dei gruppi egemoni borghesi, il valore dei pochi nei confronti dei molti:
Vogliamo ancor più un popolo di miti e castigati costumi, d'animo nobile, schiettamente fortemente evangelicamente religioso, sociale e probo, che sia nerbo e non ulcere degli stati; che riverisca e consideri come necessari a se stesso i ricchi del mondo, ma non ne invidi gl'ignavi ozi, le morbidezze e il fasto; che non intenda essere più di noi […] Né ci sbigottisca il pensiero che il popolo è molto e noi siamo pochi.
Scriverà Giuseppe Giusti nel 1849:
- Che i più tirano i meno è verità,
- posto che sia nei più senno e virtù;
- ma i meno, caro mio, tirano i più,
- se i più trattiene inerzia o asinità.
Non minori delle colpe dei moderati furono quelle del partito d'azione che non impostò la questione agraria, fondamentale per far entrare in movimento le masse contadine.
I riflessi della restaurazione sono avvertiti anche nella cultura: a Roma la cultura è arcadico-archeologica e antiquaria, a Napoli «l'alleanza dell'imperio assoluto al sacerdozio, la superstizione, l'ipocrisia, la falsa venerazione dell'antichità spingono verso tempi e costumi aborriti
» (così scrive Pietro Colletta fra il 1823 e il '30, esprimendo il timore del ritorno del S. Uffizio, «se fortuna lo aiuta, sanguinario e crudele quanto ne' tristi secoli di universale ignoranza
»).
A Firenze i moderati della borghesia cattolica (Giovan Pietro Vieusseux, commerciante ligure di origine ginevrina, Gino Capponi, Raffaele Lambruschini, Sismondi e altri), appartenenti a classe sociale agraria in cammino verso le speculazioni finanziarie, sostenevano il rapporto mezzadrile, favorivano una letteratura per il popolo paternalistico-moralistica, una cintura ideologica mirante a smorzare le speranze dei contadini, a fornire loro argomenti di quietismo, obbedienza, rassegnazione.
Organizzatore culturale del gruppo fu Vieusseux (1779-1863) fondatore dell'Antologia (1821-33) la quale ebbe come scopo far conoscere l'Europa in Italia e gli italiani agli scrittori stranieri. Il carattere di questa rivista fu eclettico e, pertanto, moderato, in essa trovarono posto classicisti, illuministi temperati, spiritualisti. Né poteva essere diverso dal momento che il gruppo agrario borghese dal quale esso derivava era conservatore, antipopolare, sollecito a fornire al popolo l'istruzione idonea a preservarlo dalle idee rivoluzionarie. Il rapporto padrone-contadino era prevalente, in questo gruppo, su qualsiasi altro interesse.
Pur con i limiti della rivista eclettico-moderata l'Antologia rappresentò, in un ambiente di cultura provinciale quale era diventata Firenze, un elemento di modernità anche per la sua avversione al romanticismo medievaleggiante pur se la presenza di Tommaseo integralista cattolico, misoneista, estraneo alla storia e alla cultura toscana, mal si concilia con la mente concreta di Vieusseux.
Né si deve dimenticare, però, che la cultura toscana in questo tempo è più avanzata nella Livorno di Guerrazzi e Bini, porto franco, ricca di succhi illuministici e anticlericali, dove erano stati pubblicati Dei delitti e delle pene, la traduzione dell'Enciclopedia francese, «L'Indicatore livornese
» (1829-30), aperta a influssi stranieri.
Più avanzati sono gli intellettuali lombardi e milanesi, espressione di una borghesia che, accresciuta e rinsaldata nell'Illuminismo dei Verri e Beccaria, aveva visto il crollo della fiducia nella ragione e le delusioni rivoluzionarie ma non aveva dimenticato la collaborazione col dispotismo illuminato e l'impegno col governo napoleonico.