Capitolo

12

L'Arcadia


PREMIO ANTONIO PIROMALLI
PER TESI DI LAUREA MAGISTRALE O DOTTORATO DI RICERCA

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12 - § 2

Metastasio e il pubblico del melodramma


Il maggiore poeta dell'Arcadia fu Pietro Metastasio1 (1698-1782) romano il quale non dovette attendere il riconoscimento dei posteri per ottenere fama e onori. L'una e gli altri ebbe dai suoi contemporanei di tutta Europa perché fu interprete della società del suo tempo nelle situazioni medie tendenti ad un certo decoro e al riconoscimento altrui delle proprie esibizioni.
Il melodramma metastasiano non ha di fronte a sé il pubblico secentesco degli aristocratici sussiegosi ma un pubblico più largo costituito da vasti strati borghesi in Europa e da gruppi di potere (aristocratici, funzionari di governo) i quali ne autorizzano l'ufficialità sulla base di diverse motivazioni etiche e psicologiche di cui parleremo più avanti.
Quel pubblico, reso più aperto e democratico dalla diffusa ragionevolezza che costituiva l'archetipo psicologico dell'età, aspirava non all'eroismo ma a un surrogato che era il decoro un po' solenne il quale si trova soprattutto sulla scena che è sempre una sorta di specchio o di modello dei costumi di una società.
Assistevano al melodramma gli stessi personaggi dei rituali mondani della vita galante oltre quelli di autorità e un grande numero di adepti, clienti e di uomini di affari e di commercio. Si suol dire che l'ideologia del crasso materialista è l'idealismo ma qui si tratta di qualcosa di diverso perché quel pubblico e quella società avevano un certo incivilimento che essi cercavano di confermare nel melodramma metastasiano.
Questo era omologo alle aspirazioni di quel mondo più variegato di quanto la schematizzazione non lascia vedere; si pensi all'importanza che in una società di potenti guidata da un rituale di comportamento esteriore hanno le donne dei potenti, e quanta necessità ci sia di trovare la legittimazione del costume sia attraverso l'etica del comportamento sia attraverso la proposizione di modelli teatrali. Metastasio, sempre guidato e protetto da donne, visse in accordo con i tempi e con la società.
La sua opera fu infatti molto popolare non certamente perché fosse espressione della vita delle classi popolari (ché mai lo fu: del resto il popolo vero era comandato a guerreggiare per le successioni dei sovrani quando Metastasio era in auge, e quando il popolo tornò dalle guerre Metastasio aveva esaurito la propria fantasia) ma perché si rivolgeva non al solo pubblico della corte bensì a ceti compositi. Il melodramma era la «letteratura» di consumo di grande richiesta perché per la diversità delle tecniche delle arti concorrenti all'insieme e per il grado di esecuzione complessiva poteva soddisfare diverse esigenze di gusto.
La genialità di Metastasio consistette nella capacità di riformare il melodramma secondo i gusti del tempo e di dare a opere nate spesso per un teatro di corte dignità cortigiana nell'allestimento e nelle finalità morali, e mirabile e essenziale chiarezza psicologica agli stati d'animo e ai contrasti dei sentimenti. Romanzeggiatore lirico della realtà, sul piano sentimentale egli offriva ai ceti non altolocati modelli solenni di belle evasioni, esemplari di vellutate consolazioni e di sopportabili strazi. L'eroe poteva essere un santo o un innamorato perché il flusso lirico era eguale nell'onda della «pietas» e dell'elegia.
La lezione della controriforma quale accomodamento e unzione (religiosa o laica non importa) era al fondo dell'animo del poeta ma era democratizzata, dilavata dalla tetraggine, schiarita e ilarizzata dalla rapidità dei tagli, dalla precisione e nettezza delle scene. Cartesio aveva aiutato con chiarezza a pulire la psicologia dei personaggi ma era un Cartesio di acqua e sapone iridati e musicali, un breve volo di parole che continuavano le note e le modulazioni degli strumenti musicali. Le ariette danno la persuasione che i personaggi vivano una grande tragedia:
  1. È pena troppo barbara;

  2. [...]
  3. Tutto è tormento;

  4. [...]
  5. sinché vive
  6. si rammenta il primo amor;

  7. [...]
  8. Sopito in dolce oblio
  9. sogno pur io così;

  10. [...]
  11. Mi dolgo al tuo dolor, — gioisco al tuo gioir;

  12. [...]
  13. Voce dal sen fuggita
  14. poi richiamar non vale.
Il teatro del Seicento è dotto e tetro nella tragedia degli orrori ma dottrina mitologica e tetraggine non possono essere popolari (popolari come divulgazione poiché il mondo popolare del Settecento è quello delle campagne, degli stabilimenti tessili, serici).
Metastasio porta sul piano del sentire di massa, di retorica di massa la potenziale unità vivente collettiva che non era stata sollecitata da interessi più profondi e più nazionali. Vuol dire che, in mancanza di intenti seri fondati sulle idee, il modo di sentire dei ceti inferiori, medi-inferiori e di strati colti ed egemoni si è coagulato — con grumi densi e costanti nella nostra storia civile oltre che nel costume — intorno a motivi psicologici melicamente dichiarati, a trame romanzesche, a finzioni improbabili: «Quaggiù tutto disordina e confonde il caso cieco» aveva pronunziato il Dottori chiuso in una stanza e in una tragedia mai rappresentata durante la vita dell'autore. Metastasio soffonde di più frivola «pietas» il disordine del «caso cieco» convenevolmente alla sensibilità degli eleganti salotti del suo tempo, dei vecchi nobili e galanti, delle damine incipriate e lo solennizza nella seduzione della musica, della scenografia, delle poche ma precise ed essenziali espressioni pseudo-tragiche del suo linguaggio.
La sentenziosità delle arie è il «non plus ultra» della parzialità e della superficialità, ma è detta in modo tale da sembrare esistenziale ed eterna. Le querele degli innamorati, innalzate a quel tono, sembrano veri inenarrabili dolori, nobili prima e subalterni poi se le ricantano, le fanno discendere dalla scena nella strada.
Chi mai prima di allora aveva razionalizzato e reso comprensibili gli eroici furori e i drammi d'amore? Non l'introspettivo, serioso e cogitabondo Petrarca; in brevi volute lo farà l'estremo metastasiano Jacopo Vittorelli, in amplissimi accordi l'opera lirica dell'Ottocento. Il vecchio melodramma cinque-seicentesco aveva affogato il testo letterario nella musica e nelle vistose scenografie, il veneziano Apostolo Zeno (che aveva preceduto Metastasio come poeta cesareo a Vienna tra il 1718 e il '28) tentò di riportare il melodramma da contenuti romanzeschi e dalla «comica scurrilità del socco» al tragico e all'eroico.
Metastasio intende in modo perfetto le esigenze etiche ed estetiche, a lui congeniali, della società aristocratica e struttura il melodramma su un contenuto tragico, solenne ed eroico, come nella tragedia greca; ma la sostanza tragica è sopravanzata dal sentimento lirico-patetico di tradizione tassesca e marinistica. Le forme sono tragiche ma le passioni sono smorzate dalla grazia e diventano turbamenti e contrarietà, tutto è velato in modo che invece del vero dolore vi sia, nelle contrarietà, il piacere del compianto: «v'è nel lagnarsi e piangere | v'è un'ombra di piacer».
Il conforto è nel lamento e nel pianto. Temperamento idillico-elegiaco Metastasio riduce il melodramma sotto il segno della ragione in modo che gli affetti siano contemperati e si somiglino. La pesante concezione della catarsi controriformistica è alleggerita negli esempi di virtù, di affetti gentili, di amore, come l'eroismo (Catone, Temistocle, Attilio Regolo, Clemenza di Tito) si smorza nell'eloquenza, nel gesto, nella magnanimità delle sentenze.
Tutte queste smorzature rientravano nella ragionevolezza dell'Arcadia ordinatrice degli ingegni e il melodramma, il più complesso dei generi letterari, ordinava a sua volta nel suo seno le varie arti concorrenti. Nella Didone abbandonata (1723) erano già in Enea tutti gli strazi sospirosi che troveremo in altri melodrammi (Olimpiade, Adriano in Siria, Achille in Sciro) in cui il contrasto tra amore e dovere, amore e gloria, amore e ragione è occasione di effusioni patetiche. Il personaggio non è un carattere, è una figura ideale ma nitidamente circoscritta nel tono che rappresenta.
In realtà la chiarezza dà sempre l'impressione della realtà in Metastasio. Il lessico, ad esempio, è limitato perché il poeta ha concentrato i valori psicologici in pochi termini per comunicare più facilmente con il pubblico desideroso di afferrare subito l'emotività nella parola. Metastasio ha concentrato nel lessico selezionato in parole-emblemi la forza lirica in virtù della lucida chiarezza, riuscendo a esprimere emozioni e vibrazioni che sembrano tragiche e sono anzitutto, in realtà, canorità cristalline.
Questi elementi dell'arte del Metastasio non nascono dalla vita e sono privi di drammaticità: piuttosto che con una condanna abbiamo cercato di spiegarli con la funzione di Metastasio poeta cesareo e con il rapporto del poeta con il suo pubblico; questo incontro culturale e psicologico è di grande importanza per qualificare la sconfinata fortuna del poeta e del melodramma, talune costanti lirico-musicali della poesia e del costume italiano, gli accenti tragici che nei momenti gravi e difficili finiscono con lo sciogliersi nel comportamento giocoso o comico.

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