Capitolo

1

Le origini

  1. Origini della lingua e della letteratura. La Chiesa nel medioevo. Cultura contadina, cultura laica

PREMIO ANTONIO PIROMALLI
PER TESI DI LAUREA MAGISTRALE O DOTTORATO DI RICERCA

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1 - § 1

Origini della lingua e della letteratura. La Chiesa nel medioevo. Cultura contadina, cultura laica


Il passaggio dall'uso del latino a quello del volgare deriva dal graduale e progressivo peso sociale ed economico dello sconfinato mondo contadino che si veniva liberando nel medioevo dalle schiavitù e dalle servitù e dei ceti artigiani e commercianti di nuova formazione. La lingua e la letteratura italiane non sono generate meccanicamente o idealisticamente da altre lingue e letterature, ma si rinnovano e hanno vita per l'attività di uomini che operano nella storia, economica, politica, sociale, culturale di cui fanno parte. Con la caduta dell'Impero romano nuove popolazioni attraversano l'Europa e si vengono stabilendo in un territorio sotto la guida di un capo. Sono gruppi etnici di regioni lontane, tribù che si dislocano in seguito al crollo dei confini romani e alla caduta del potere di Roma. Questi gruppi eterogenei costituiscono i primi nuclei delle future individualità nazionali la cui coscienza ha inizio con l'uso di una lingua dai caratteri approssimativamente comuni. La lingua del resto si aggrega e si sviluppa in relazione agli specifici modi di costituirsi delle popolazioni, ai loro modi di vita, alle loro guerre contro finitimi o invasori.
Mentre in Italia la specificità etnica e linguistica cresce fondamentalmente dalla matrice latina (arricchita di elementi longobardi, germanici nel Settentrione, bizantini e arabi nel Meridione), in Spagna sarà la lotta contro i conquistatori arabi a creare una fusione di interessi, di sentimenti, di cultura. Gli avvenimenti delle particolari civiltà trasformano la lingua di Roma che fin dal tempo dell'Impero aveva subito adattamenti fonetici e lessicali in rapporto allo stato sociale e allo spirito dei popoli romanizzati. Il latino volgare usato a Roma — diverso da quello letterario — ha in Italia il sopravvento, mentre il latino medievale che ha consistenza per la necessità divulgative del cristianesimo deriva dal latino classico: per opera degli intellettuali cristiani e dei molti funzionari religiosi addetti al culto, all'apologetica, alle istituzioni.
Questo latino, lingua della Chiesa dei catecumeni, diventerà ufficiale e universale con il costituirsi delle scuole religiose, dei vescovati, delle parrocchie, della cultura teologica, del proselitismo dei fedeli. La lingua nuova parlata, volgare, romanza nasce in Italia dalle evoluzioni della società che era stata romana, dalle fratture, dagli stacchi violenti, dagli allentamenti portati dalle nuove popolazioni, dai rapporti fra dominatori e dominati, da scismi ed eresie e, soprattutto, in concatenamento con tutti questi fenomeni, dallo sviluppo sociale ed economico nella misura in cui, pur attraverso vicende di guerra, vagabondaggi, fame, esso consentiva l'affrancamento di schiavi e servi della gleba, la trasformazione delle tecniche di lavoro e produzione, la formazione di più autonomi gruppi di uomini.
La lingua è più vicina a quella di Roma nelle classi elevate (dignitari, funzionari, latifondisti, grandi ricchi, aristocratici, titolari di cariche politiche, civili e militari) mentre l'infinito esercito degli addetti all'agricoltura e dei non abbienti esercita sulla lingua modificazioni profonde e rispondenti ai modi di vita subalterni, sviluppando necessariamente un'inventività deformatrice e corruttrice — ma creativa — con i linguaggi plebei, comici, grotteschi (da scritti sulle pareti delle grotte), ingiurie, satire, segno di affermazione di indipendenza dei parlanti, di libera aggressività e di non assoggettamento ai modi razionalizzanti della cultura.
L'inventività volgare è una difesa dell'identità dei plebei mentre il potere si esprime con la logica, la grammatica, la sintassi, la codificazione dei linguaggi tecnici che ben presto si incardina nelle formule dei teologi, di papi, protonotari, archiatri, di medici, giudici, notai, cancellieri etc. Fin dal principio dello svolgimento della lingua italiana il povero si riconosce in bucca e manducare, espressioni che difenderà un millennio più tardi quando l'Unità d'Italia gli farà sentire il peso di un linguaggio estraneo alla cui formazione egli non ha partecipato.
Nella cosmopoli etnica che è la penisola italiana le strutture sociali, la topografia, le diverse civiltà conformano diverse strutture linguistiche: nell'Italia meridionale, ad esempio, la ellenizzazione operata dalla lunga dominazione bizantina e la dipendenza religiosa di vasti territori dal patriarca di Bisanzio, il monachesimo basiliano manterranno nei linguaggi romanzi — dove più, dove meno — calchi sintattici e verbali greci. Occorre dire, perciò, che la radiografia del volgare (anzi, dei volgari) italiano si può fare nel clima storico, economico, culturale della civiltà medievale nel suo diversissimo attuarsi come differenziazione dalla civiltà romana da luogo a luogo, senza andare alla ricerca di una universalità culturale che non esiste più e della quale esistono delle matrici.
La società feudale, che si accompagna alla crisi del sistema schiavistico, crea nell'ordine politico e sociale una catena di fedeltà personali mediante benefici, vassallaggi, immunità, feudi laici ed ecclesiastici, eredità concessa ai feudi maggiori. Le crociate (1096-1291) aiutano lo sviluppo del commercio sollecitando intraprese economiche che oltrepassano l'economia curtense e, mentre alcuni paesi europei si avviano alla costituzione di raggruppamenti nazionali, in Italia gli interessi particolari dei due poteri centrali, l'imperatore e il pontefice, che hanno aspirazioni universali, arrestano l'evoluzione politica unitaria.
Un esempio è l'incarico che Nicolò II diede a Roberto d'Altavilla di conquistare, come vassallo della Chiesa, le terre possedute dai Bizantini nell'Italia meridionale. I Normanni vinsero i Bizantini, subordinarono la Chiesa greca e unificarono il vasto territorio meridionale creando un grande stato unitario su base feudale che crollerà nel 1806, quando i Francesi emaneranno le leggi sulla devoluzione dei feudi.
Nel Medioevo la cultura latina ha i suoi continuatori in Severino Boezio e Aurelio Cassiodoro di Squillace. Quest'ultimo (c. 490 - c. 570) fu alto funzionario sotto Teodorico e fu nominato prefetto da Atalarico. Vagheggiò la concordia fra Romani e Goti, dopo la deposizione di Teodato fu lui ad annunziare l'elezione di Vitige; ma quando Belisario entrò a Ravenna e fece prigioniero Vitige, crollò il sogno di Cassiodoro di conciliare il mondo germanico e quello romano. Il grande funzionario nel 540 si ritira in Calabria e fonda un eremitaggio su un colle, il Castellanense, e un monastero, il Vivarium. Scrive le Institutiones — riguardanti le arti liberali delle quali è origine e fondamento la grammatica — che tramandano alla posterità le testimonianze della civiltà letteraria classica.
La sua opera di vigilante custode del mondo romano che trapassa in quello cristiano rappresenta nel medioevo, da Alcuino a Rabano, un punto di fermata per rielaborare la cultura antica durante l'evoluzione verso il mondo romanzo. Egli sognava la fondazione di scuole classico-cristiane, essendo ben consapevole del valore del mondo declinante e della necessità di far continuare nel nuovo mondo cristiano i valori stilistici tradizionali. La sua preoccupazione di recuperare alla cultura moderna i codici antichi, di interpretare i testi classici, di collegare le lettere humanae con le divinae, di preparare scuole di calligrafi, miniaturisti, amanuensi, quando si affaccia la civiltà di Bisanzio, è il segno più importante dell'umanesimo meridionale del VI secolo.
Cassiodoro si era ritirato dal ricordo delle corti feroci e dei delitti dinastici alla vita politica e burocratica in Calabria dove la nuova civiltà entrava veemente, pur se con un corteo di guerre, carestie: in conventi, scuole calabro-greche cominciava la preziosa opera di trascrizione di codici che raggiunge il punto più alto di operosità con i monaci basiliani tra i secoli X e XIII, con Nilo di Rossano, con Barlaam e Leonzio Pilato. Cassiodoro si rivolgeva ai dotti delle scuole. La Chiesa, istituzione culturale capillarmente egemone, si rivolge nel medioevo a tutti gli strati sociali in maniera differenziata sostenendo l'archetipo del disegno provvidenziale nella storia umana, nella sua lotta contro i pagani, con l'apologetica, l'erudizione, l'allegoria, la teologia alla quale tutte le conoscenze umane erano subordinate.
Con la lingua latina prima, con le volgarizzazioni ecclesiastiche scritte nei linguaggi del popolo dopo il Mille, la Chiesa con i suoi intellettuali, le sue istituzioni (monasteri, abbazie etc.), le riforme religiose e la fondazione di ordini mendicanti (sec. XIII) ha egemonizzato la vita sociale e culturale di tutto il Medioevo, ha unificato popoli e ceti sociali, ha assorbito i profondi guasti causati da corruzione e avarizia, ha combattuto in ogni campo «la civil sua briga» contro la cultura mondana valendosi di grandi apologeti, asceti, teologi, polemisti (Ambrogio, Girolamo, Agostino, Pier Damiano, Lanfranco di Pavia, Anselmo d'Aosta, Bernardo di Chiaravalle, Tommaso d'Aquino, Bonaventura da Bagnoregio etc.); così avviene in tutti i generi letterari necessari a esercitare l'egemonia con tutti gli adattamenti opportuni (cronache, ritmi, prediche, storie, visioni, artes dictandi, sentenze, bestiari, lapidari, epitomi, drammi liturgici, agiografie, leggende religiose, esposizioni, spianamenti, inni, tra i quali ultimi ricordiamo i celeberrimi Pange lingua, Veni creator, Dies irae, Stabat mater). In questo immenso organismo culturale della Chiesa esistono modi di adattamento alle diverse condizioni del popolo e sviluppi interni per cui con Anselmo d'Aosta entra la fiducia nella ragione nel suo rapporto con la fede: lo scrittore, per conseguenza, offre al pensiero occidentale strumenti logici che in seguito verranno esercitati sulla realtà e sulla natura. Anche Alano di Lilla offre strumenti razionali che saranno svincolati, più tardi, dai temi teologici.
L'egemonia della Chiesa sarà spezzata dal trionfo in Europa di una concezione fondata sull'uomo e sulla capacità razionale della cultura mondana. Nel Medioevo cominciano a farsi avanti i laici colti che si collegano con i movimenti economici artigiani e mercantili. La Chiesa deve tenere conto delle profonde stratificazioni culturali folkloriche contadine di ascendenza pagana, naturalistiche, cresciute con il lavoro della terra, con la sua fertilità, con la concezione animistica degli alberi, delle fonti. Questa cultura si esprime col linguaggio dei banchetti, dei canti popolari, ha suo sodale il basso clero che partecipa alle feste dei folli, dell'asino, dei Santi Innocenti (in cui un vescovo bambino parodiava i riti sacri e in cui si attuava il rovesciamento dei ruoli tra adulti e infanti, tra ragione e non senno).
Durante la rinascenza carolingia, con la diffusione del cristianesimo nelle campagne, la Chiesa dovette lottare contro i culti delle divinità rurali che si trasformavano nella simbologia delle maschere esaltanti gli attributi fallici. Sulle espressioni popolari di festa nell'ambito della ruralità la Chiesa usò la repressione per cancellare la materializzazione della felicità che si manifestava con la «cuccagna», simbolo di un eden concreto e proiezione di bisogni insoddisfatti. Anche la letteratura moraleggiante reprimerà le immaginazioni contadine di un paradiso luogo di godurie gastronomiche.
Un altro motivo che derivava dal «continuum» naturalistico rurale, gli animali, con cui il contadino aveva intime relazioni di vita, di comunicazione, di lavoro (gli animali hanno nelle credenze popolari, forse per influenza della dottrina della metempsicosi, l'innocuità che deriva dall'innocenza, sono pazienti sodali nella fatica, occupano un largo spazio vitale e, secondo tradizioni passate nella favolistica, nell'età dell'oro avevano voce articolata e conoscevano l'uso delle parole) tanto da comprenderne il linguaggio, vennero dall'ideologia cristiana razionalizzatrice separati dagli uomini; furono degradati in quanto sede di bassi istinti (per condannare l'animalità, esaltare l'intelletto umano e perché attraverso l'amore verso gli animali si manteneva nel mondo rurale la contiguità psicologica della bestialità). Nell'antropologia culturale ecclesiastica medievale tutti gli esseri sono gerarchicamente ordinati in relazione alla loro spiritualità: un posto basso è assegnato alla donna, la quale se non è religiosa è strega amica del diavolo, è meretrice, è paragonabile agli animali.
L'ambito delle apparizioni del popolo è stato sempre circoscritto per motivi di ordine dai dominatori ecclesiastici o laici. Feste, danze, suoni, scene di gruppi sono stati ridotti e relegati al Carnevale, tempo di consentita licenza per il popolo, di ritrovata identità. La rinuncia, nelle formule battesimali, alle «pompe del diavolo» impegnava il battezzando a tenersi lontano da spettacoli teatrali di qualunque genere e condizione per essere accettato nella Chiesa di Dio. La gestione ecclesiastica delle feste religiose e la messa al bando di quelle profane mirava sia alla deculturizzazione degli elementi pagani della comunità contadina che alla graduazione gerarchica della cultura avente il suo modello nella verità religiosa e nella glorificazione della divinità.
Alla conoscenza dei modi della cultura popolare medievale ci possiamo avvicinare, oltre che attraverso la letteratura colta e semipopolare, anche con le testimonianze provenienti dall'esame critico degli apparati normativi e dagli atti di repressione o di contenimento usati nei diversi momenti dagli organismi istituzionali di potere nei confronti delle popolazioni contadine. La trasmissione della cultura popolare è stata sempre affidata a se stessa, alla sua capacità di sopravvivere in quanto circolante nelle comunità aggregate. La coralità del concreto popolare raramente era affidata alla forma scritta avente carattere, per i gruppi subalterni, di individualità e di astrattezza bene strumentate, del resto, dalla cultura egemone.
Agli schemi della società costituita su impianto feudale — la lotta con la croce e con la spada (come è raffigurato Carlo Magno nel bassorilievo che adorna la sua tomba ad Aquisgrana) — si riconducono i poemi cavallereschi in francese d'oil che esaltano le imprese di Carlo Magno, dei suoi paladini e di Rolando (Chanson de Roland) come affermazione della forza economica e sociale dei grandi feudatari laici. L'epopea carolingia si diffuse in Italia dal secolo XI per mezzo dei giullari che seguivano i pellegrinaggi verso Roma, ebbe grande diffusione nella Marca Trevigiana e nella valle Padana dando origine a una letteratura cavalleresca franco-veneta. Quelle leggende, che erano una produzione autoctona nazionalpopolare francese, vennero adottate in Italia dove le particolarità politiche locali non avevano consentito la formazione di uno spirito unitario. Esse penetravano per le vie dei romei e per quella del Po sedimentandosi fra le popolazioni rurali che si riscattavano idealmente dal lavoro partecipando alle vicende di Orlando che, nato povero, in virtù del proprio valore riacquista il suo posto presso la corte e salva i suoi compagni nella rotta di Roncisvalle.
Grande veicolo di sentimenti popolari la materia epica carolingia tramandata oralmente, sedimentandosi nei poemi franco-veneti (Entrée d'Espagne e Prise de Pampelune), costituisce il nucleo dei poemi cavallereschi italiani del Quattro e del Cinquecento a Ferrara e in Toscana. Gli ideali guerreschi della feudalità francese settentrionale sono espressi anche da Bertrand de Born (c. 1140 - c. 1215) che esalta la pratica della guerra e della razzia contro i mercanti e i borghesi, i quali costituiscono di già gli elementi costitutivi di una società ideologicamente diversa da quella dell'alta feudalità:
  1. Trombe, tamburi, bandiere e pennoni,
  2. insegne e cavalli neri e bianchi
  3. presto vedremo: come sarà bello vivere!
  4. Si porterà via la ricchezza agli usurai,
  5. e per la strada non trascorreranno più
  6. i giorni tranquilli, né borghesi senza fastidi
  7. né mercanti che verranno dalla Francia,
  8. ma sarà ricco chi ruberà di buon cuore!
Altro genere di cultura feudale si ha nella Francia meridionale nella lingua d'oc con cui i trovatori elaborano la teoria dell'amore cortese. La donna è idealizzata come fonte di ogni virtù e nel servirla l'amante segue un codice di comportamento di sudditanza quale era quello esistente tra il vassallo e il Signore. «Art de trobar» si chiamò quella del perfezionare i componimenti che venivano recitati dai giullari nelle corti e nei castelli con accompagnamento di strumenti musicali. Questa poesia laica che canta l'amore fuori del matrimonio si sviluppò presso le corti dalla metà del XII a quella del XIII secolo. Essa ha grande importanza come generatrice della lirica d'arte in Italia e in Occidente e per aver fissato motivi e tecniche compositive che costituiscono la tradizione di un genere letterario il quale rappresenterà il modo aristocratico ed eletto di poetare.
L'esaltazione della donna bella e fonte di virtù, indipendentemente dalla concretezza di fatti, vicende, svolgimenti, sarà un mito letterario continuo per quasi tutti i secoli della nostra letteratura. Il corteggiamento della donna nasce nei provenzali in un ambiente aristocratico in cui il giullare è anche lo stesso poeta. I poeti (Bernart di Ventadorn, Jaufré Rudel, Gerard di Borneil, Arnaut Daniel) esprimono soprattutto le convenzioni che regolano i rapporti tra l'uomo e la dama, e i loro seguaci cadono nell'uniformità ideativa ed espressiva. In Italia la stessa mirabile esperienza laica del Petrarca cadrà sotto la sferza dei rimatori giocosi i quali argutamente sottolineeranno il platonismo, la raffinatezza, l'estatica riverenza del poeta verso la donna, la donna lontana etc.
Nel romanzo cortese Tristano del giullare normanno Béroul, però, l'episodio dei lebbrosi i quali consigliano il re Marco di non fare morire Isotta amante di Tristano, ma di farla vivere tra loro, introduce una categoria di «diversi»:
  1. Erano con lui ben cento compagni;
  2. con le loro stampelle, con i loro bastoni;
  3. così pieni di ulcere, così disfatti.
Anche nell'Ivain di Chrétien de Troyes, pur se l'elemento nuovo è trasferito nel magico, l'eroe liberatore conosce un'altra realtà, quella del lavoro sfruttato e irredimibile delle operaie tessili della Champagne. La polemica economico-sociale è esplicita:
  1. ma c'era tale miseria
  2. che sciolte e discinte
  3. per la miseria erano molte,
  4. e ai seni e ai fianchi
  5. erano lacere le loro vesti,
  6. e le camice al collo sudice.
  7. I colli magri e i visi pallidi
  8. avevano di fame e stenti […]
  9. Mai tanto potremo rendere col nostro lavoro,
  10. che meglio ne abbiamo a mangiare […]
  11. Ché mai dal lavoro delle nostre mani
  12. non otterrà ciascuna per suo mantenimento
  13. più di quattro danari di lira […]
  14. s'arricchisce col frutto delle nostre fatiche
  15. quegli per cui lavoriamo.
  16. Delle notti gran parte vegliamo
  17. e tutti i giorni per lavorare,
  18. ché siam minacciate di mutilazione
  19. delle membra quando riposiamo,
  20. e perciò non osiamo riposare.
Non personaggi occasionali che si incontrano nel mondo cortese ma gruppi intellettuali consapevoli degli atteggiamenti, delle espressioni e operanti al di fuori — o contro — la tradizione razionalizzatrice della cultura religiosa e delle istituzioni s'incontrano nel medioevo.
Anzitutto il giullare plebeo che rappresenta l'antitesi comica della vita ufficiale e può — per la diversità che gli viene riconosciuta in virtù dei suoi legami con la follia e l'animalità — mettere in ridicolo cavalieri nei tornei, schernire le dame etc. La sua condizione lo relega fuori dell'esperienza quotidiana (il sentimento della miseria umana riesce ancora a compatire la follia) consentendogli libertà durante le feste dei folli, il «risus paschalis», ma anche di esprimere la follia come altra faccia della saggezza (che rimane, perciò, nell'enigmatico e nell'amletico). I goliardi — laici ed ecclesiastici datisi alla vita libera e privati delle loro prebende —, diventati «joculatores» della società colta, erano in polemica con il clero e la corte di Roma, rifiutavano la morale ufficiale, cantavano il gioco, le donne, il vino. Nella taverna:
  1. nullus timet mortem,
  2. sed pro Baccho mittunt sortem […]
  3. Tam pro papa quam pro rege
  4. bibunt omnes sine lege
  5. Vinum forte, vinum purum
  6. reddit hominem securum.
Archipoeta di Colonia dice di non avere patria, morale:
  1. Cerco il piacer tra gli uomini e non oltre le stelle,
  2. non curo affatto l'anima ma curo assai la pelle […]
  3. mi struggon delle vergini le grazie e il candore,
  4. se non posso con l'opera le stupro almen col cuore […]
  5. È mio saldo proposito morir dal taverniere:
  6. chi quivi muore ha prossimo alle labbra il bicchiere
  7. e i cori di angeli che pregano
  8. Signore
  9. deh, accogli nell'empireo questo buon bevitore.
Di un anonimo è il Vangelo secondo il marco d'argento, significativo per la satira della corruzione della Chiesa mentre altri poeti operano travestimenti comici della liturgia religiosa, dei salmi, delle preghiere. Per le critiche rivolte al vivere monastico, alle scuole religiose, alla corruzione ecclesiastica i goliardi furono nel secolo XIII perseguitati e condannati.
Il feudalesimo garantito dalla Chiesa sul piano religioso e su quello politico, l'opposizione alla corruzione della curia romana e il ritorno alla pratica di vita evangelica fondata sulla povertà e la comunione dei beni sono i motivi predicati dagli eretici i quali mettono in discussione la società feudale ma anche lo sviluppo economico della società fondata sul danaro. La loro professione di fede apostolica, la pratica di vita povera sono tentativi — perdenti — di rinnovare la vita della Chiesa dall'interno e di evitare compromissioni col potere.
Il valore ideale del pauperismo è un motivo di opposizione alla Chiesa mondana, circola per tutto il medioevo ed ha un potente sostenitore in Dante. Infine al trionfo della religione cristiana si accompagna nel medioevo la persecuzione contro i giudei crocefissori di Cristo. Il quarto Concilio Lateranense (1215) rinnova la proibizione di affidare cariche pubbliche ai giudei, per escluderli dalla società cristiana. Le opposizioni ricordate sono segni, nei secoli XI e XII, della laicizzazione della cultura (in conseguenza di una modificata realtà storica e antropologica) che avrà il suo primo rigoglioso frutto nel Rinascimento.

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