Capitolo 8: Niccolò Machiavelli
Paragrafo 2: Il problema dello Stato. La politica come scienza. Il «Principe»


Machiavelli vive la crisi strutturale e istituzionale dell'Italia «dove non è osservanza di religione, non di leggi, non di milizia»; la vive in modo passionale, con la vitalità caratteristica del temperamento e con la lucidità dell'intelletto, come caos e anarchia, come perpetuazione di irrazionalità; la vive anche nel confronto con le situazioni delle grandi monarchie e dell'Impero e con la propria esperienza di tecnico della cancelleria appartenente a una classe dirigente che ha elaborato in uno Stato autonomo quale Firenze una politica aperta ma che è certamente da liberare dalle sopravvivenze medievali e da ricreare in un confronto con gli Stati moderni.
Perciò egli non è puro scienziato, ma nella sua ricerca del modo in cui la politica possa ordinare la società agiscono motivi passionali e individuali che alla fine del Principe gli fanno invocare non un principe ideale ma un condottiero reale che ne sia la personificazione. Certamente il Principe nasce dall'osservazione delle condizioni concrete dell'Italia, dalla necessità di rendere autonoma la politica dalla religione e dalla morale.
Il principio dell'autonomia della politica, della creazione delle leggi che rendano la politica metodo scientifico è un prodotto dell'umanesimo laico, è l'antitesi della concezione medievale per cui l'agire politico è quello della religione. Dietro la ricerca machiavelliana è l'umanesimo dei grandi storici latini i quali avevano descritto una realtà regolata dai rapporti di forza esistenti tra uomini che lottavano anche con i vizi e il valore della loro natura.
La politica è scienza dell'uomo, criterio ordinatore dei flussi sociali in base allo studio oggettivo della «realtà effettuale» e della «natura» dell'uomo. Machiavelli «speculatore» considera che per perseguire l'utile politico è necessario guardare la realtà così come essa è, senza travestimenti né ottimismi né speranze né utopie né presupposti religiosi o idealistici.
Alla «realtà effettuale» si contrappone la «imaginazione di essa», la finzione dilettosa o evasiva o estetica che non tiene conto delle forze, dei pesi, delle misure, delle tensioni concrete. Molti scrittori di politica si sono immaginati Stati ideali, principi virtuosi, sudditi devoti, hanno scritto cioè pagine retoriche e utopistiche.
Per la prima volta nella storia Machiavelli indica nella «realtà effettuale» il modo in cui devono operare le forze storiche in relazione all'utile, al bene dello Stato; può farlo perché egli pensa non a un modello di Stato ma a una realtà concreta che deve essere, che deve realizzarsi in Italia in quel momento.
Il «profeta disarmato» (Savonarola), gli utopisti (Platone, Cicerone) non progettarono realtà congruenti alla situazione oggettiva e materiale ma astrazioni pericolose o inutili. Lo Stato per Machiavelli si costruisce creando equilibri più avanzati alla realtà esistente e muovendo da questa. Il principe prima di Machiavelli non esisteva nella realtà, era soltanto un simbolo; con Machiavelli diventa guida storica che opera servendosi dell'informe per farlo diventare volontà che trionfa, attività che trasforma.
La politica come attività autonoma che è diversa dalla religione e dalla morale e lo studio della «realtà effettuale» sono due principi che modificano la cultura del tempo di Machiavelli, principi rivoluzionari in quanto spezzano le ideologie tradizionali e liberano la nuova forza che acquista caratteri suoi, moderni e attivi, per operare contro l'agire politico caotico, moralistico, utopistico, religioso, immaginario.
Machiavelli scrive per dare coscienza e intelletto politici alle forze che sono, in quanto più avanzate e concrete di Savonarola, capaci di creare il tecnico della politica e delle armi, il nuovo principe riformatore dello Stato, principe necessariamente «golpe e lione», Centauro mezzo uomo e mezzo bestia, vezzeggiatore e spegnitore di uomini nella prima fondazione dello Stato. L'autonomia della politica e l'esame della realtà esaltati da Machiavelli suscitarono, da parte degli amatori della finzione, un secolare odio contro il segretario fiorentino.
Alla necessità di dare alla politica leggi proprie Machiavelli aggiunge la necessità di scoprire le leggi della natura umana, il loro modo di operare nella realtà. In opposizione alla visione trascendente che vede l'uomo perfettibile Machiavelli rinascimentale, osservatore della realtà, è razionalmente pessimista. Nei suoi comportamenti politici la natura umana è mossa dalle passioni che rendono gli uomini

ingrati, volubili, simulatori e dissimulatori, fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno; e mentre fai loro bene, sono tutti tua, offerenti el sangue, la roba, la vita, e' figliuoli […] quando il bisogno è discosto, ma quando ti si appressa, e' si rivoltano.

L'uomo come aggregato fisico e psicologico ha tali caratteri costitutivi della sua essenza individuale che gli servono a conservare se stesso; il modo di operare di queste naturalità costituisce la legge del suo reale manifestarsi, né tale legge è stata mai modificata: sempre eguali a se stessi nei loro comportamenti gli uomini «nacquero, vissero e morirono, sempre con un medesimo ordine». Essi non conoscono altro bene che l'utile privato e «si dimenticano più presto la morte del padre che la perdita del patrimonio».
Ogni idealismo sulla natura umana (tutta energia terrestre, con elementi selvatici e ferini) allontana dall'esame oggettivo: «Gli uomini non operano mai nulla bene se non per necessità».
Sarebbe preferibile vivere in un mondo pacifico e leale ma le passioni naturali non lo consentono e chi compie un'analisi sbagliata delle forze reali, dei comportamenti e delle leggi è destinato a cadere:

È tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fare impara piuttosto la ruina che la preservazione sua: perché un uomo che voglia fare in tutte le parti la professione di buono, conviene rovini infra tanti che non sono buoni.

Questo meccanicismo naturalistico è il fondamento da conoscere per sviluppare l'azione politica, per mutare la realtà e organizzarla. Colui che ha questa conoscenza, il principe, ha la conoscenza dell'agire ma per potere operare occorrono la «virtù» e la Fortuna. La virtù è la capacità individuale, la somma di qualità d'intelletto, di esperienza, di deduzione logica e di intervento politico che il principe deve avere per superare i limiti condizionanti della situazione storica: l'«occasione», cioè le condizioni particolari che in una situazione consentono l'intervento, rivela nel principe la grande personalità, gli consente di fare eccellere la virtù individuale.
Il punto di partenza è sempre la conoscenza della realtà, quello di arrivo la concreta organizzazione politica. Ma nella realtà esistono forze non prevedibili, esterne al volere dell'uomo, oltrepassanti i suoi limiti (avvenimenti fortuiti, contingenti, improvvisi, esplosioni passionali, mancamenti che avvengono in un preciso momento), determinati da quella che Machiavelli chiama Fortuna: di fronte ad essa occorre sapersi adattare alle circostanze impreviste ma anche mettere in opera la virtù come creatività artistica ed eroica che superi i limiti, e gli ostacoli.
Al di sopra di ogni interesse è quello dello Stato in cui la natura umana è corretta e ordinata; il principe in quanto organizzatore dello Stato non può fare «in tutte le parti professione di buono» perché andrebbe in rovina «infra tanti che non sono buoni» sicché seguendo la realtà effettuale non si dovrà preoccupare «di incorrere nella infamia di quelli vizii, senza quali e' possa difficilmente salvare lo stato»: il principe deve saper sacrificare la bontà all'interesse dello Stato, essere temuto piuttosto che amato perché «il timore è tenuto da una paura di pena che non ti abbandona mai», non curarsi «della infamia di crudele, per tenere li sudditi sua uniti e in fede» («era tenuto Cesare Borgia crudele; nondimanco quella sua crudeltà aveva racconcia la Romagna, unitola, ridottola in pace e in fede»).
Machiavelli quando fornisce questi consigli distingue la sfera privata e quella politica; nella sfera politica occorre superare l'opera meccanica della natura: «Quanto sia laudabile in uno principe mantenere la fede e vivere con integrità e non con astuzia, ciascuno lo intende» ma

sendo uno principe necessitato sapere bene usare la bestia, debbe di quello pigliare la golpe e il lione […]. E, se gli uomini fussino tutti buoni, questo precetto non sarebbe buono; ma, perché sono tristi e non la osservarebbero a te [la fedeltà], tu etiam non l'hai ad osservare a loro.

Principe «necessitato», principe «nuovo» debbono guardare anzitutto alla realtà effettuale e usare i mezzi adatti che saranno sempre ritenuti giusti perché gli uomini giudicano le azioni dall'esito che esse hanno.
Il principe che sa ordinare lo Stato, salvarlo nel pericolo, governarlo con la «maestà della dignità sua» (mostrandosi «amatore delle virtù», onorando «li eccellenti in una arte», consentendo la pratica della mercatura e dell'agricoltura, premiando chi cerca di migliorare lo Stato e tenendo «occupati e populi con le feste e spettaculi» nei momenti convenienti) è un eroe come lo furono Mosé, Ciro, Teseo, Romolo, dotati di virtù superiore perché anzitutto furono uomini politici.
Se tutto deve essere sacrificato allo Stato il sacrificio deve essere assoluto quando lo Stato è in guerra. Machiavelli propugna l'adozione di milizie cittadine in luogo di quelle professionali o mercenarie avendo l'occhio a uno Stato nazionale in cui la forza militare sia in funzione dell'organizzazione politica e della difesa delle istituzioni. Da qui deriva l'insistenza di Machiavelli sui problemi dell'arte della guerra in un'epoca in cui mantenimento o perdita dello Stato, per il mutarsi degli equilibri di forza, dipendevano dalla forza militare non meno che dall'esperienza e dalle alleanze politiche.
L'idea delle milizie cittadine per chi guardava a uno Stato nazionale e alle monarchie straniere non era del tutto utopistica ma connaturata al modello da creare (anche se nella pratica le milizie cittadine organizzate nel 1512 da Machiavelli fornirono cattivi risultati contro le milizie spagnole e pontificie). Per la migliore difesa dell'istituzione politica statale Machiavelli proponeva che le milizie fossero soprattutto del contado in modo da salvare politicamente città e campagna.
Il principe doveva avere, perciò, in modo precipuo le qualità tecniche del militare, del condottiero di eserciti perché nell'ultimo capitolo del Principe ormai il personaggio assume sembianza concreta di «redentore» di un'Italia «più stiava che gli Ebrei, più serva che e' Persi, più dispersa che gli Ateniesi, senza case, senza ordine, battuta, spogliata, lacera, corsa».