Capitolo 8: Niccolò Machiavelli
Paragrafo 1: La vita e i tempi di Machiavelli


La personalità di Niccolò Machiavelli1 (1469-1527) è quella del politico impegnato, espressione del carattere concreto per cui il Rinascimento è detto naturalismo. L'aspetto estetico, formalistico del Rinascimento è del tutto estraneo a Machiavelli il quale incarna il suo pensiero nella realtà e nella natura per conoscerne le leggi oggettive, materiali e per studiare, di conseguenza, l'agire umano.
Egli vive in un periodo di crisi politica non solamente fiorentina ma italiana e durante la quale le vicende italiane sono legate alla storia delle grandi monarchie europee, soprattutto Francia e Spagna. Dopo oltre mezzo secolo di predominio, nel 1494 i Medici sono cacciati in seguito alla calata di Carlo VIII; succede la repubblica la cui costituzione democratica è di spirito savonaroliano.
Dopo la morte di Savonarola (1498) Pier Soderini è eletto gonfaloniere a vita e in quello stesso anno Machiavelli diventa segretario della seconda cancelleria (interni e guerra) di una repubblica in cui le vecchie forze economiche di origine comunale-municipale rappresentavano la dirigenza politica dello Stato che nelle cancellerie aveva gli organismi tecnici le cui relazioni erano con l'interno, con i principati assoluti e le repubbliche italiane, con le monarchie assolute straniere.
Nella fase di lotta di Francia e Spagna per l'egemonia in Europa, di lotta per l'equilibrio degli Stati italiani minacciati dal papato, Machiavelli compie la sua carriera e la sua esperienza fino al ritorno dei Medici (1512) in seguito alla soccombenza dei francesi in Italia e alla caduta della Repubblica fiorentina.
In quegli anni il segretario fiorentino fece parte come osservatore di legazioni a Pisa che si era ribellata a Firenze, di legazioni a Urbino e Senigallia (1502) presso Cesare Borgia, figlio di Alessandro VI che allargava i suoi domini intorno a Firenze, a Roma (1503) per l'elezione di Giulio II, tre volte in Francia presso la corte di Luigi XII, in Tirolo (1507) presso l'imperatore Massimiliano d'Asburgo. Da queste esperienze derivano le relazioni Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati (1502), Descrizione del modo tenuto dal duca Valentino nell'ammazzare Vitellozzo Vitelli etc. (1503), Rapporto delle cose della Magna (1508), Ritratti delle cose di Francia (1510) etc.
Lo sguardo di Machiavelli è rivolto alle monarchie europee in cui si sviluppano le forze progressive borghesi e al Valentino che elimina i signorotti feudali per avere il consenso di gruppi produttivi più moderni (contadini e mercanti) ma nello stesso tempo studia il modo di creare ordinamenti militari in funzione di stabilità politica. In tutte le sue missioni Machiavelli studia l'organizzazione di uno Stato forte che vinca l'anarchia feudale (signorotti assoluti instabili, operanti su base personale e familiare, politicamente incapaci per eccesso di avidità o di immotivata violenza, «centauri» dotati della soli natura ferina, non idonei a creare continuità di Stato), abbia tranquillità interna e il consenso necessario per esercitare l'egemonia.
Al di fuori di ogni astrazione e assolutismo teorico Machiavelli pensava a un forte Stato in Italia che avesse i caratteri del principato assoluto nella fase di formazione e di governo misto nei successivi momenti della conservazione. Nel 1512 Machiavelli è allontanato dall'ufficio, arrestato quale presunto congiurato antimediceo sicché dopo la liberazione si ritira all'Albergaccio, un possedimento presso S. Casciano.
Vivendo privatamente scrisse il Principe (1513), i Discorsi sopra la prima Deca di Tito Livio (1513-17), i Dialoghi dell'arte della guerra (1516), la Vita di Castruccio Castracani (1520) e tenne corrispondenze con l'amico Francesco Vettori, ambasciatore fiorentino a Roma. Nel 1520 il cardinale Giulio dei Medici gli fece avere l'incarico dallo Studio fiorentino di scrivere la storia di Firenze (Istoria fiorentina, 1520-25) ma neanche dopo la nuova cacciata dei Medici e il ristabilimento della Repubblica (1527) poté riprendere il posto di segretario della cancelleria.



1 Niccolò Machiavelli
Di antica famiglia ormai decaduta e impoverita, NICCOLÒ MACHIAVELLI (1469-1527) si formò sugli scrittori della tradizione letteraria volgare, soprattutto i grandi trecentisti, e sui classici latini, rivissuti non in chiave formalistica ma come modelli di vita e comportamento politico.
Diffidente nei confronti della repubblica «piagnona» del «versuto» Savonarola (l'affermazione, contenuta nei Discorsi, che «d'uno tanto uomo se ne debbe parlare con riverenzia» è in parte correttiva ma non contraddittoria), segretario della seconda cancelleria dal 1498 al 1512, ritenne sempre di dover mettere la sua esperienza e abilità politica al servizio non di questo o quel regime, ma dello Stato: da tale convinzione derivarono sia la delusione per essere stato costretto a ritirarsi a vita privata dopo la caduta della repubblica (ma l'inattività degli anni di S. Casciano fu compensata dall'approfondimento della speculazione politica e dalla stesura delle sue opere maggiori), sia le ininterrotte e accorate richieste ai Medici di essere impiegato anche in incarichi di poco conto («mi cominciassino adoperare, se dovessino cominciare a farmi voltolare un sasso», lettera al Vettori del 10 dicembre 1513).
Machiavelli si sentiva nato per la politica e sempre mostrò predisposizione a trarre dall'osservazione della realtà effettuale (anche dalle occasioni più insignificanti, come la legazione nella «repubblica degli zoccoli» di Carpi) lo stimolo e lo spunto alla formulazione di leggi universali e metapolitiche.
Fra le opere minori abbiamo il Discorso sopra il riformare lo Stato di Firenze (scritto nel 1519 per sollecitazione di Leone X e in cui si sostiene la necessità della conservazione di un ordinamento repubblicano), il Dialogo intorno alla lingua (con la difesa del fiorentinismo parlato contro le tesi del Bembo) e la traduzione dell'Andria di Terenzio (l'interesse di Machiavelli per il teatro derivò non dalla superficiale adesione a un genere in voga nel Cinquecento ma, come dice il Russo, dalla «stessa forza mimetica e impeto dialogico del suo pensiero»).