Capitolo 7: Ludovico Ariosto
Paragrafo 4: L'«Orlando Furioso»


L'Orlando furioso, poema cavalleresco in ottave, composto da quarantasei canti, ha una intelaiatura anche encomiastica perché l'opera non può prescindere dal rapporto con la società per la quale l'Ariosto scrive e crea una sua misura artistica di contenuti e di stile, operando una continua relazione ideologica ed estetica.
Buon critico di sé, scrivendo al Doge, nel 1515, dell'opera «in la quale si tratta di cose piacevoli et delectabili de armi et amori», attribuiva il carattere piacevole del poema al fatto che anche l'ispirazione delle parti favolose derivava da problemi e situazioni patrimonio comune dell'esperienza di quella società, e che nel complessivo significato il Furioso esprimeva sentimenti storici e problemi presenti ai contemporanei.
La struttura artistica rifletteva la realtà mediante rappresentazioni, immagini, non solo estetiche ma anche logiche, intellettuali. Nell'esperienza dell'Ariosto entrava il mondo cortigiano ma anche penetravano i trionfi dell'ascendente borghesia della sua giovinezza, il realismo comico popolare e i rozzi «bischizi» di proteste che circolavano anonimi, la narrazione del Boiardo che egli riprende nei punti lasciati interrotti.
Il poema nelle sue tre edizioni (1516, 1521, 1532) perfeziona sia le scelte linguistiche (da un gusto ancora emiliano e ferrarese) secondo i modelli della lingua colta del Rinascimento, che i contenuti seguendo gli arricchimenti e i contrasti della società italiana in cui ormai si notavano le crepe della Riforma e il peso del consolidamento del dominio straniero. Scompaiono le tracce di boiardismo, segno di un'epoca più sommaria ed esteticamente più cruda, numerosi episodi sono rielaborati su un piano estetico più concreto.
La direzione in cui si volgono gli arricchimenti del contenuto è la satira del platonismo amoroso correlata alla tendenza verso la natura. Ariosto spoglia la vita dell'involucro medievale e trascendente soprattutto in quegli episodi che sembrano stare a sé dalla tela del poema e che sembrerebbero più disinteressati degli altri: le novelle di Ginevra e Ariodante, di Fiammetta, del dottor Anselmo, di Drusilla e Marganorre, di Norandino e l'Orco. In queste novelle l'Ariosto combatte il motivo feudale della donna soggetta all'uomo e della schiavitù femminile nel rapporto dei sessi fondandosi sulla natura umana (infedeltà della donna ma anche dell'uomo).
L'ironia è, anche qui, espressione di una mutata realtà, ha funzione etico-estetica-giudicante, forma di visione relazionatrice con la realtà e con la storia. La cavalleria è un pretesto per esprimere lei idee di una civiltà moderna che combatte i concetti teologico-morali del feudalesimo e del medioevo. L'ironia rende prosaici, bruciandoli in quanto eroi e protagonisti sublimi, eroi ed eroine le cui necessità umane sono scoperte e satireggiate.
Ampia è la tela del poema: nella Francia invasa dai Saraceni la fuga di Angelica dal campo cristiano genera infiniti episodi finché a Parigi si svolge la battaglia finale vinta dai cristiani; Angelica, di stirpe reale, sposa l'umile fante Medoro provocando la pazzia di Orlando il cui senno è ricuperato da Astolfo sulla luna; il matrimonio di Ruggero e Bradamante, dai quali discendono gli Estensi, conclude il poema.
Nell'immenso spazio del poema l'elemento meraviglioso domina con incantesimi, sortilegi, magie, eventi prodigiosi, intervento di mostri. Esso serviva a stupire e divertire il pubblico ma l'Ariosto non dimentica di rompere di quando in quando la sublimità del meraviglioso per mettere i personaggi in relazione col reale, prosaicizzandoli in talune situazioni e per storicizzare il racconto: Astolfo che vola sull'ippogrifo ritiene opportuno, la sera, scendere sulla terra e andare in albergo evitando di «alloggiar male», Angelica esce dall'arcione e cade riversa, battesimo e miracoli sono derisi, degli eremiti è satireggiata la morale decaduta, Astolfo sulla luna vede che «là su infiniti prieghi e voti stanno, | che da noi peccatori a Dio si fanno.»
Un riflesso dell'importanza dei valori economici entra anche in questo mondo ariostesco come elemento che accresce i contrasti della vita. Nella novella del dottor Anselmo il negromante predice al marito che la moglie Argia lo tradirà per danaro: «non da bellezza né da pieghi indotta, | ma da guadagno e da prezzo corrotta». Cosi avviene e Argia «per mercede | in braccio e in preda al suo amator si diede».
Di sentimenti borghesi sono intessuti la parte finale del poema e gli episodi relativi alle nozze di Bradamante e Ruggero. Questi, secondo i borghesi genitori di Bradamante «né sa che nobiltà poco si prezza, | e men virtù, se non v'è ancor ricchezza» mentre Bradamante proclama, nel dramma economico borghese, la fedeltà a Ruggero: «Non è ricchezza ad espugnarmi buona, | né sì vil prezzo un cor gentile acquista».
Uno degli elementi costanti nel Furioso è la tendenza al naturalismo. Gli oggetti sono estratti dal vago e dall'indeterminato, l'uomo non è un pretesto di rappresentazione. La vita degli animali è osservata nei diversi aspetti nei numerosi paragoni del poeta (caccia alle rane, caccia con i cani etc.), le similitudini e le metafore nel poema sono innumerevoli e sono prova del naturalizzamento del mondo umano. L'osservazione dei fenomeni della natura è un fatto non solo estetico ma anche conoscitivo (pur non essendo il naturalismo della scienza moderna) e nelle immagini e similitudini è sempre l'ombra della fatica e della vita degli uomini. I fenomeni del torrente ingrossato per le nevi o per la pioggia e precipitante fra i campi e i raccolti, del cader delle foglie in autunno, delle acque che prorompono da una diga, dell'accendersi dei razzi, della rondine che si precipita fra le api, del fulmine caduto in una casa, della pietra superiore della mola che macina il grano, dei mantici che soffiano a vicenda sulla fornace, dei fiori che resuscitano sotto la pioggia, hanno nel poema un incanto artistico ma nascono da una base razionale; non sono pretesti descrittivi ma l'ispirazione è legata alla conoscenza della natura fisica, qui il sorriso della scienza si rivela illuminante anche per quanto riguarda le situazioni artistiche, per l'evidenza del fenomeno che presenta, per la precisione che aggiunge alla fantasia ariostesca.
La scienza e l'osservazione sono gli elementi naturalizzanti dell'arte del poeta, che si dispiega con una scientifica coerenza di invenzioni e di disegno. L'uccello invischiato, gli apparecchiamenti dell'uccellatore nel campo per preparare le reti, la campagna incolta scoperta ai raggi del sole, la contadina che trae il bozzolo del baco da seta da mettere nell'acqua bollente per poterlo filare, la grandine che cade sui tetti, che sono motivi tradotti in immagine, conservano il fondo di realtà da cui derivano e rendono naturali la dimensione dell'uomo e le sue azioni, mettono in relazione i fatti e i personaggi con la realtà.
Le immagini, cioè, nascono sul terreno storico di una determinata esperienza e cultura, di una determinata visuale che è, nell'Ariosto, il rinascimentale e concreto modo di vedere artisticamente la realtà secondo uno stampo naturalistico e scientifico. Le similitudini calano il mondo ariostesco nella realtà che è la stoffa da cui sono ritagliati i sogni.
In questo continuo richiamo alla realtà rientra anche la funzione del paesaggio come suggestivo primo piano legato alla memoria di aspetti della pianura del Po, delle sconfinate landa e delle valli, di grandi spazi e di gravi fatiche, paesaggio dominato dalle acque e dalla pianura in cui si muovono i personaggi della fantasia, privo di qualsiasi accento idillico o lirico. La «secca arena» della similitudine della cornacchia, il «gran spazio di mare» scorto da Rinaldo, la «lama — che fa due parti di questa pianura», la «palude, ch'era scura e folta di verdi canne», il sentiero che «giace tra l'alto fiume e la palude» nella riva sabbiosa e innumerevoli altri aspetti di questo essenziale paesaggio ci richiamano a quella realtà naturalistica ferrarese che il poeta portava nella mente e che trasfigurava con la fantasia.
Nell'Orlando furioso l'Ariosto ha interpretato esteticamente la realtà creando una nuova forma artistica: egli ha superato la forma tradizionale (ce lo confermano gli studi linguistici) perché ha superato anche la visione idillica consueta alla lirica e ha creato una nuova tecnica e un nuovo stile. Il termine artistico della nuova tecnica è il naturalismo nei limiti consentiti dalla cultura e dalla società, attraverso soggetti ancora appartenenti alla tradizione medievale e cristiana, ma in una vita ormai piena e positiva, energica e non frantumata. Più che la scienza c'è spesso il vagheggiamento scientifico nell'Ariosto ma la felicità umana diventa il mito poetico della nuova cultura da cui non può essere scartato ormai il valore del concreto; in luogo del motivo dell'espiazione-riscatto subentrano i temi del nuovo rapporto etico-conoscitivo, quelli di realtà-sogno, esperienza-bellezza che la fantasia trasporta nel mondo dell'arte.
L'umanizzazione — Orlando che riacquista la saggezza — è il mito riassuntivo di tutta la civiltà rinascimentale, che celebra la vita e gli affetti umani, e dentro l'ottava della verginella che è simile alla rosa c'è il pieno sentimento della bellezza che ha oltrepassato il platonismo del quattrocento e non è ancora caduto sotto il rigore precettistico del secondo Cinquecento.
La bellezza non è forma soltanto, ma soprattutto sostanza della vita nella descrizione di Ruggero nel palazzo d'Alcina; è un aspetto essenziale del grande quadro della società del Rinascimento, e il poeta ne diffonde l'ammirazione e il rispetto, quando descrive il dolore che appare sul «bel viso» di Olimpia o la gioia di Isabella all'improvvisa vista di Zerbino. Non si tratta di petrarchismo amoroso ma di energia artistica nel rappresentare la vita degli uomini sia nell'amore che nelle armi che nelle passioni.
L'Ariosto stipendiato di Ercole I, di Ippolito, di Alfonso I, ambasciatore e governatore a contatto con una realtà che nella vicenda del Pistoia abbiamo visto quanto dura fosse, a contatto con la corte, le dame, i soldati, il pontefice, i signori, il popolo garfagnino, poeta e organizzatore del teatro di corte, diede alla sua opera d'arte un rigore unitario, che derivava dalla sintesi estetica delle esperienze compiute, e l'impronta di una personalità veramente presente nel tempo in cui visse. Per comprendere l'artista, gli elementi intellettuali e quelli poetici, non si possono scindere gli uni dagli altri, perché entrambi hanno una genesi storica e una razionalità come termine intermedio del loro rapporto: per mezzo di quel rapporto l'Ariosto si fondeva con la società e l'umanizzazione di Orlando ritornato savio è il simbolo della realtà che smentisce le false idee, della prassi che per la sua varietà non consente comportamenti idealistici, sublimi o astratti.
Alla materia del Furioso si collegano i Cinque canti che gli editori pubblicarono in appendice al poema. Composti probabilmente tra il 1521 e il 1528 esprimono un pessimismo esistenziale:
  1. O vita nostra di travaglio piena,
  2. come ogni tua allegrezza poco dura! […]
  3. E piangerà doman l'uom che oggi ride
soprattutto a proposito del tema della guerra. I tamburi che chiamano all'arruolamento rendono le città prive di allegrezza e uomini e donne «andavan taciturni sospirando» come quando i figli o i familiari stanno per morire.
Il gioco realtà-fantasia è interrotto e nei sentimenti cupi e tetri esplicitamente espressi si avvertono gli echi delle guerre che gli stranieri combattono per il predominio in Italia e il presentimento della crisi economica e sociale da cui l'Italia uscirà soltanto alla fine del Settecento.