Capitolo 3: Dante Alighieri
Paragrafo 3: La «Divina Commedia»


La genesi della Divina commedia ha due motivazioni principali: la glorificazione di Beatrice (dichiarata nell'ultimo capitolo della Vita nuova in cui Dante si propone di non parlare più della «gentilissima» fino a che non potesse più degnamente trattare di lei) e la redenzione dell'umanità decaduta per le discordie civili e il disordine morale. Le prime due cantiche del poema furono composte tra il 1305 e il 1313 mentre il Paradiso fu pubblicato postumo. Il titolo di «commedia» voleva significare che lo stile era vario e non solamente tragico come nell'opera del maestro Virgilio; Boccaccio chiamerà «divina» la Commedia e l'indicazione del certaldese apparirà per la prima volta nell'edizione veneziana dell'opera nel 1555.
Di viaggi nell'aldilà avevano parlato Omero (viaggio di Ulisse), Virgilio (viaggio di Enea), le leggende cristiane del Medioevo (Navigazione di S. Brandano, Purgatorio di S. Patrizio, Visione di Tundalo, Visione di S. Paolo) e i poeti didattico-allegorici avevano rappresentato i terrori dell'inferno e le gioie del paradiso ma la struttura dei tre regni creata dalla fantasia dantesca oltrepassa l'occasionalità e la schematicità dei suoi predecessori.
Per Dante tutta la vicenda si svolge nell'aldilà ed è il complemento della vita terrena sicché la struttura ha grande importanza. L'inferno è un immenso anfiteatro che da Gerusalemme al centro della terra si restringe in successivi scaglioni che formano nove cerchi in cui i dannati sono distribuiti in profondità secondo la gravità delle colpe. Nel centro dell'ultimo cerchio è Lucifero, con la testa e il busto rivolti all'emisfero di Gerusalemme e con le gambe protese nell'altro emisfero. I dannati sono puniti secondo lo schema etico aristotelico: peccatori di incontinenza, matta bestialità, malizia; i morti senza battesimo sono nel primo cerchio, il Limbo, mentre gli eretici sono collocati nel sesto cerchio il quale precede coloro che peccarono per volontà (matta bestialità). I dannati sono condannati a una pena che solitamente consiste nel patire il contrario (contrappasso) di ciò che li fece errare sulla terra.
Il Purgatorio è una montagna simile a un tronco dicono che si innalza nell'emisfero delle acque e che si restringe in sette cornici in cui i penitenti espiano l'abitudine al peccare (non il peccato che è stato già perdonato), disposti dal basso verso l'alto secondo la minore gravità. In cima alla montagna è il Paradiso terrestre mentre fra la prima cornice e la spiaggia è l'antipurgatorio, luogo in cui convengono coloro che si pentirono negli ultimi momenti della loro vita.
L'espiazione dei penitenti nelle cornici è materiale e morale. Il Paradiso comprende nove sfere diafane che ruotano sugli altri due regni con velocità crescente dal cielo della Luna alla nona sfera o primo mobile che dà movimento a tutte le sfere. La sede dei beati è l'Empireo, cielo immobile che avvolge gli altri, nel cui centro è Dio; ma, affinché Dante possa comprendere coi suoi sensi il grado di beatitudine delle anime, queste gli appaiono distribuite nei cieli secondo il grado di felicità di cui godono.
Il viaggio, che Dante immagina di avere compiuto nell'aldilà nella settimana santa del 1300, anno del Giubileo, ha inizio in una selva, simbolo dei vizio in cui l'uomo si smarrisce. Virgilio interviene a soccorrere lo smarrito offrendosi come guida al viaggio che Dante deve compiere per Inferno e Purgatorio.
Nel Paradiso il peregrino sarà guidato da un'anima cristiana, Beatrice — una delle tre donne (con la Vergine e Lucia) che hanno cura di lui nella corte del cielo — per invito della quale Virgilio si è mosso dal Limbo dove si trovava. Virgilio è affettuoso maestro di Dante, lo consiglia, lo esorta, lo aiuta nei momenti difficili, lo induce a parlare con le anime per sciogliere i dubbi che questi ha, ammansisce i mostri che custodiscono i cerchi dell'Inferno, trasporta il discepolo per il centro della terra, arrampicandosi sui velli di Lucifero, alla riva della montagna del Purgatorio.
Qui, nella cornice dei lussuriosi, Dante attraversa le fiamme dei penitenti e sale con Virgilio e Stazio al Paradiso terrestre dove Matelda spiega la natura del luogo. In una processione appare su un carro Beatrice, circondata da una nuvola di fiori, la quale rimprovera a Dante l'eccessiva cura delle cose mondane finché il peregrino è immerso da Matelda nei fiumi Letè ed Eunoè le cui acque sono capaci di far dimenticare le colpe e ricordare le opere buone.
Dante, ormai purificato, sale con Beatrice verso il cielo e si sofferma con i beati di ogni sfera per avere chiarimento ai dubbi e ricevere luce di verità. Tutti i beati incontrati sono riveduti nel cielo ottavo, delle stelle fisse, illuminati dalla luce di Cristo che sale con Maria all'Empireo dal quale si è mosso perché Dante ne possa vedere il trionfo. Nell'Empireo i beati sono disposti in forma di rosa e Dante, dopo che San Bernardo ha pregato Maria perché il poeta possa compiere i suoi voti, fissa i suoi occhi — resi capaci di contemplare la luce divina — nella luce nella quale può intendere il mistero di Dio uno e trino.
Il paesaggio dell'Inferno è aspro e stagliato, i personaggi, anche antichissimi, sono riportati al presente di Dante (Dante giudica Francesca anche nei limiti di lettrice borghese provinciale del libro di Galeotto, Guido Cavalcanti come letterato di metafore stilnovistiche e avverso a Beatrice non più creatura stilnovistica ma santa etc.), soprattutto alla corruzione del papato e all'assenza degli imperatori: invettive, profezie, miti nascono dagli interessi etico-civili di Dante o sono proiezioni della realtà dell'esilio politico. Nel Purgatorio prevalgono il raccoglimento delle anime espianti, la liturgia della liberazione dal peccato e il tono lirico è cortese e malinconico. Le immagini, confidenziali e familiari, rievocano le consuetudini della terra, sono la lettura della natura come libro di Dio nel ricordo di animali, stagioni, lavori, luoghi, mestieri, paesaggi. La tensione drammatica vi è spenta perché il regno del Purgatorio è il passaggio a quello del Paradiso. Qui tutto è luce e gaudio, certezza definita e assoluta.
Le soluzioni che Dante presenta dei problemi del tempo suo sono quelle di un dotto di un'epoca di transizione il quale afferma la concezione laica per mezzo dello schema romano augusteo, dell'Impero romano riflesso nel medioevo della nazione germanica. L'Impero è l'elemento unitario superiore all'anarchismo feudale e alla guerra sociale, l'arbitro che può porre un freno al potere temporale della Chiesa, alle discordie, che restauri la pace e la giustizia. Il viaggio oltreterreno si inquadra per Dante in un disegno divino, è predestinato perché l'umanità sia avvertita che la corruzione dovrà essere risanata da un messo divino, probabilmente un imperatore, di cui Dante è il profeta. I profeti devono riportare l'umanità sulla retta via e Dante compie la propria purificazione individuale uscendo fuori dal pelago dei vizi umani e carnali. Perciò per il poeta, partecipe del dramma sociale, politico, storico, religioso del suo tempo, la visione non è una finzione né noi possiamo leggere il poema come una serie di liriche intercalate con la dottrina e la scienza.
Con la Commedia Dante vive l'idealità dell'unità del mondo cristiano proseguendo lo svolgimento di non pochi motivi che erano stati di Gioacchino da Fiore. I principali di questi motivi sono: lamento per la decadenza morale, per la corruzione degli uomini, della Chiesa, per il prevalere dei vizi; invettive contro la corruzione, la mondanizzazione della Chiesa, di alti prelati ed ecclesiastici; necessità di una palingenesi morale e sociale, avvento di un riformatore che muterà le condizioni del mondo; avvento del regno di Dio. A ciascuno di questi punti sono collegate profezie in Gioacchino e in Dante, tutti i concetti di paradiso come plenitudine di grazia che si trovano in Gioacchino esistono anche in Dante. Attraverso il rinnovamento Gioacchino pensa all'età dello Spirito Santo e dell'Evangelo eterno, Dante all'unità del mondo cristiano e alla ricostituzione dell'armonia distrutta dai vizi e dall'avarizia.
Il concetto dantesco di palingenesi ha anche una evidente implicazione politica. Per Dante oltre il tralignare degli uomini c'è sulla terra mancanza di governo:
  1. Tu, perché non ti facci maraviglia,
  2. pensa che 'n terra non è chi governi;
  3. onde sì svia l'umana famiglia.
  4. (Par. XXVII; 139-141)
Colpevoli sono quelli che non lasciano «seder Cesare in la sella», colpevole è Alberto tedesco il quale ha tollerato che il «giardin dell'imperio» fosse deserto; il male cadrà su coloro che hanno ostacolato Arrigo VII, legittima guida politica:
  1. La cieca cupidigia che v'ammalia
  2. simili fatti v'ha al fantolino,
  3. che muor per fame e caccia via la balia.
  4. (Par. XXX; 139-141).
In un'atmosfera di palingenesi — che sa di Apocalisse — si hanno le profezie del Veltro, del «cinquecento diece e cinque», del tempo futuro che avrebbero risarcito le piaghe in una unità politica e morale, con un nocchiero che avrebbe reso concordi i cittadini e prospere le città.