Capitolo 3: Dante Alighieri
Paragrafo 1: La vita. La concezione unitaria della realtà


La grandezza di Dante1 (1265-1321) è nella concezione unitaria, nella visione organica che egli ha della realtà storica e del modo originale in cui è riuscito a esprimerle in arte. Egli chiude una fase del Medioevo, riflette tutte le componenti della società del suo tempo — che è tempo di transizione — e ne elabora una sintesi quale massimo testimone dell'epoca. Dante nacque a Firenze nel maggio del 1265 da famiglia di piccola nobiltà cittadina del popolo di S. Martino del Vescovo. Alighiero — guelfo che dopo la sconfitta dei guelfi a Montaperti (1260) non era stato bandito dalla città — e Bella furono i genitori di Dante (Durante). Il padre rimase vedovo e si sposò una seconda volta.
La prima giovinezza di Dante, educato secondo il costume dei giovani della sua condizione, si svolse nel comune guelfo caratterizzato dallo sviluppo dell'economia borghese di mercanti e imprenditori appoggiati da finanzieri. L'industria principale era quella della tessitura che portava i mercanti fiorentini in tutti i paesi dell'Europa. Nella città comunale la politica era posta al servizio dell'economia e le cariche pubbliche erano molto appetite perchè servivano a distribuire imposte, contrattare prestiti, forniture, dirimere liti commerciali, allestire trattati.
Allo sviluppo economico e sociale borghese e mercantile corrispondono la cultura cortese, preziosa, distaccata della borghesia ricca e dell'antica nobiltà guelfa decaduta e la letteratura realistico-giocosa della borghesia minuta e popolana. La personalità di Dante si matura nella realtà di un Comune fiorente e ricco, in una società culturalmente avanzata. Qui conobbe Beatrice, figlia di Folco Portinari, andata sposa a Simone de' Bardi e morta a ventiquattro anni nel 1290, qui sposò Gemma Donati dalla quale ebbe quattro figli. Nella sua città Dante venerò come letterato e maestro Brunetto Latini ed ebbe amico carissimo Guido Cavalcanti, per il Comune di Firenze combatté nell'esercito guelfo contro i ghibellini di Arezzo a Campaldino (1289) e nello stesso anno partecipò coi fiorentini all'assedio del pisano castello di Caprona.
Nel 1293 gli Ordinamenti di Giustizia di Giano della Bella escludono dalla vita politica i nobili per consentire l'esercizio del potere alla ricca borghesia. Una riforma degli Ordinamenti consentì (1295) che per partecipare agli uffici pubblici bastava iscriversi a una delle Arti. Dante si iscrisse a quella dei medici e degli speziali e poté entrare (1295-96) nel Consiglio speciale del popolo, essere tra i Savi consultati per l'elezione dei Priori (1295), far parte del Consiglio dei Cento (1296) ed essere nominato priore (15 giugno-15 agosto 1300). Si trovò fra i reggitori del Comune quando si inasprivano le contese civili tra i guelfi guidati dalla famiglia dei Cerchi (che si chiamarono Bianchi) e da quella dei Donati (chiamati Neri) che da quasi un ventennio si trovavano in lotta esercitando reciprocamente violenze.
Durante il priorato di Dante i capi delle due fazioni furono mandati in esilio (tra gli esiliati fu Guido Cavalcanti) ma le discordie civili non diminuirono. Bonifacio VIII si appoggiava ai Neri e cercava di intromettersi negli affari del Comune per motivi politici ed economici. Per la vacanza del trono imperiale il pontefice mirava al possesso della Toscana e approfittava delle discordie civili, alimentandole, per farsi sostenere dalla fazione dei Donati comprendente la maggior parte dei magnati e gruppi dell'alta borghesia.
Più moderata appariva la fazione dei Cerchi (tra i quali fu Dante) comprendente famiglie di magnati, di popolo grasso (alta borghesia mercantile e bancaria) e il popolo minuto o magro (artigiani) e intenzionata a mantenere la città di Firenze indipendente dalle mire di Bonifacio VIII. Questi inviò come «paciaro» a Firenze il fratello del re di Francia, Carlo di Valois il quale il 1° novembre 1301 entrava in città consentendo ai Neri di impadronirsi della città. Dante, che per difendere l'autonomia del comune era stato contrario alla domanda di un aiuto d'armati a Bonifacio VIII e di un aiuto di danari a Carlo II d'Angiò, il 27 gennaio 1302 fu condannato in contumacia dal podestà Cante dei Gabrielli da Gubbio a pagare cinquemila fiorini, ad essere esiliato fuori di Toscana per due anni, alla esclusione dai pubblici uffici, come reo, «pubblica fama referente», di frode e baratteria.
All'ingresso di Carlo di Valois a Firenze Dante era sulla via del ritorno da un'ambasceria del Comune presso Bonifacio VIII. Egli non si presentò a scolparsi né a pagare l'ammenda e il 10 marzo 1302 fu condannato all'esilio perpetuo e «ad essere morto di fuoco» se fosse venuto in potere del Comune. Dante si venne a trovare esule dalla città e unito ai guelfi di parte bianca che cercavano di rientrare in Firenze. L'8 giugno 1302 nella Chiesa di S. Godenzo nel Mugello fu tra i fuorusciti che, sostenuti dagli Ubaldini ghibellini, firmarono un patto di guerra contro i Neri di Firenze. Fallito questo tentativo, un altro guidato da Scarpetta Ordelaffi di Forlì (1303) , un'altra congiura a Lastra vicino Firenze (1304), Dante si stacca dai compagni e inizia la vita dell'esilio solitario cercando di ottenere uffici, segretariati, missioni presso i signori delle corti. Lo troviamo a Verona presso Bartolomeo della Scala, nel 1306 in Lunigiana presso i Malaspina, nel Casentino, a Lucca.
La discesa di Arrigo VII in Italia (1310) alimentò le speranze dell'esule che caddero alla morte improvvisa (1313) dell'imperatore. Nel 1315 gli esuli venivano amnistiati a condizioni che al poeta parvero umilianti e che egli non accettò sicché gli fu rinnovato il bando precedente. Negli ultimi anni Dante fu ancora a Verona e poi a Ravenna presso Guido Novello da Polenta dove poté risiedere con i figli. Al ritorno da Venezia, dove era stato mandato con un'ambasceria dal signore di Ravenna, morì il 14 settembre 1321.
La originale storicità che lega Dante al suo tempo non è quella di un uomo che appartiene ad una classe determinata. L'originalità dantesca ha tra i suoi aspetti quello di presentare diversi piani e di non lasciarsi catalogare per le forti tensioni particolari e universali che l'attraversano sicché ogni problema visto da Dante ha prospettive che non esistono in figure meno complesse e meno unitarie.
Tra le caratteristiche fondamentali che troviamo in Dante sono: in primo luogo i limiti che Dante vede nella società del suo tempo, in cui emergono crudamente i contrasti delle patrie municipali, comunali (lotte di fazioni, di cittadini dello stesso comune: «di quei che un muro ed una fossa serra»), gli interessi corporativi durante il formarsi della borghesia cittadina, i settarismi di partito e la caduta di ideali e di costumi del tempo passato; in secondo luogo la concezione del potere politico della Chiesa del tempo suo come intervento illecito nelle questioni terrene, parziale e contrario all'unità (perciò i pontefici che aiutano i Neri intervengono faziosamente nelle questioni di Firenze, perciò Dante si schiera con i Bianchi fino a che costoro sono meno faziosi: se ne distacca durante l'esilio quando essi diventano, nell'attuazione dei propositi di rientrare a Firenze, una «compagnia malvagia e scempia»).
Da queste caratteristiche deriva in Dante il fortissimo impulso a superare con un principio unificatore l'anarchia feudale e comunale, le ingerenze ecclesiastiche: sia che egli discuta dell'aristocrazia, della borghesia, del popolo, di Firenze, dell'Italia, della Chiesa, dell'Impero l'accento della logica e del sentimento batte sul motivo dell'unità.
Il dover essere è una legge superiore alle fazioni, alle divisioni, alle scissioni, agli errori, alle prevaricazioni; dalla discordia delle parti deriva una diminuzione d'umanità, di forza, di diritto: nessuno può illudersi di rappresentare l'unità quando parteggia per una delle fazioni in lotta. I simboli dell'unità (chiesa, Impero, comune, nobiltà, borghesia, popolo) decadono per scissione o per corruzione morale: una delle cause fondamentali dei guasti sociali è l'avarizia, cioè l'avidità egoistica cupida di guadagni dei mercanti fiorentini, esempio nefasto di disordine per i villici e i contadini cresciuti in un ordine mentale e in un comportamento osservante di norme della tradizione. La Chiesa può ricostituire la unità ritornando alla spiritualità, all'Evangelo, condannando il temporalismo, l'avarizia e il nepotismo dei pontefici («in veste di pastor lupi rapaci», cupidi «in avanzar gli orsatti»).
Dante mirava, in qualsiasi ruolo operasse, a stabilire un principio unitario assoluto sicché la sua posizione è sempre in contrasto con le istituzioni distorte da guasti o da contraddizioni: il cattolico è per una religione spirituale nella quale crede fermamente
  1. (Lume non è, se non vien dal sereno
  2. che non si turba mai; anzi è tenèbra
  3. od ombra de la carne o suo veleno)
  4. Par. XIX; 64-66;
il cittadino riflette non poche esigenze della borghesia, del popolo minuto e di quello grasso uniti nel Comune contro i magnati, i feudatari e contro il potere temporale della Chiesa e le sue ingerenze nelle questioni fiorentine.
Dante che lotta contro l'anarchia feudale vede il ruolo storico della borghesia comunale al chiudersi del Medioevo ma vede anche i guasti che grettezza, avarizia, cupidigia del mercantilismo portano nei costumi che erano ancora — con gli altri elementi della sovrastruttura — feudali e cortesi. L'avarizia e la durezza borghesi si sviluppano in un quadro in cui il ricordo della liberalità, del pregio della «borsa», di «amore e cortesia» delle dinastie feudali è ancora vicino e Dante ideologo della città comunale per il superamento dell'anarchia feudale, della guerra delle classi, degli illeciti interventi ecclesiastici, ha radici in un passato le cui sovrastrutture erano presenti: Dante non precorre, quindi, l'Umanesimo per nessun aspetto, né per espressioni di sentimenti popolari diversi da quelli del suo tempo, ma rispecchia la situazione storico-sociale di Firenze comunale fra Due e Trecento e i propri legami con una borghesia non ancora capitalisticamente egemone (come sarà alla fine del Trecento) che si esprime, piuttosto, in forme cortesi e feudali, una borghesia cittadina diversa nel tono morale e culturale da quella limitatamente mercantilistica.
A questo quadro medievale e cortese, che impronta di sé la borghesia fiorentina, Dante si riconduce nei suoi rapporti con i signori che conobbe durante le peregrinazioni dell'esilio (o con altri rimasti vivi nella tradizione) e nel rimpianto per l'estinzione delle dinastie feudali. Ma rimpianto ed esaltazione sono da porsi in relazione — in un Dante passato attraverso lo stilnovo, avverso al concetto di nobiltà feudale — con i limiti della borghesia mercantile fiorentina.



1 Dante Alighieri
La formazione culturale degli anni giovanili, l'esperienza amorosa con Beatrice, la fervida partecipazione alla vita politica del Comune fiorentino e l'esperienza dell'esilio con il conseguente allargamento degli interessi umani e culturali costituiscono le tappe fondamentali della vita di DANTE ALIGHIERI.
Apprezzato dai contemporanei soprattutto per la vastità della sua dottrina teologica e scientifica (su questo aspetto e sulla difficoltà interpretativa dei versi insistono i commenti trecenteschi alla Commedia), svalutato nel Quattrocento per la pregiudiziale linguistica (l'uso del volgare invece del latino) e per l'impossibilità degli umanisti di riconoscersi nell'ideale di uomo e di poeta incarnato dal fiorentino, Dante non fu inserito nel programma di restaurazione letteraria del volgare intrapreso dal Bembo.
Né, d'altra parte, le edizioni a stampa delle opere, l'interesse del Trissino per il De vulgari eloquentia e l'ammirazione di certi settori dell'ambiente culturale fiorentino valsero ad attenuare le riserve cinquecentesche che si ritrovano, esasperate, nel Seicento (quando si propose addirittura di relegare Dante nell'«hospitale degli incurabili»).
Il razionalismo arcadico e illuministico insistette sull'accusa di «oscurità» e «durezza» fino a pervenire alla severa stroncatura del Bettinelli, mentre già agli inizi del Settecento Vico gettava le basi di una nuova interpretazione della personalità e della poesia di Dante che si affermerà in atmosfera romantica.
Nell'Ottocento abbiamo, tra l'altro, l'interpretazione ghibellino-progressista di Foscolo, l'ammirazione per la figura di Dante esule e patriota, le pagine del De Sanctis (sulla negatività dell'allegoria e del «mondo intenzionale», sulla grandiosità poetica dei personaggi drammatici e plasticamente delineati dall'Inferno, sulle diversità tonali delle tre cantiche etc.).
Agli interessi filologici ed eruditi della critica positivistica seguì la reazione dell'estetica idealistica di Croce che nel 1921 si volse all'analisi della «poesia» di Dante distinta dalla «struttura» e propose una lettura frammentaria della Commedia.
L'esigenza di riassorbire i valori culturali e strutturali nella poesia (Getto parla di «poesia della teologia»), la rivalutazione del Paradiso e il rifiuto del mito romantico di Dante poeta di età eroiche e primitive, gli studi filologici miranti ad assicurare un testo criticamente sicuro delle opere dantesche, l'interpretazione figurale di Auerbach e l'analisi dei rapporti tra Dante e la cultura del suo tempo costituiscono alcuni dei momenti e degli aspetti più significativi degli studi danteschi di questi ultimi decenni.