Capitolo 2: Società borghese e cultura nel Duecento
Paragrafo 6: La lirica realistica e borghese


Il sentimento civile che è nella letteratura didattico-morale e allegorica e che deriva dall'assimilazione di valori laici e religiosi umani ha la sua pratica democratica, privata e pubblica, polemica, nella lirica realistica. La vita della borghesia comunale, con le sue varietà, vi è registrata nella quotidianità democratica concreta, antigerarchica. Si tratta di registrazione letteraria ma lo stile espressivo è una scelta anche ideologica, non è soltanto maniera o genere letterario o formulario. Certamente nel Medioevo romanzo i motivi della donna, della taverna, del dado hanno una tradizione, ma questa lirica è la prima storicizzazione italiana delle espressioni letterarie della società comunale, della classe borghese e mercantile dietro la quale è anche il sentimento popolare dei gruppi degli esclusi e dei sottoproletari i quali non hanno canali per trasmettere le loro idee.
I poeti realistici sono contemporanei di Guinizzelli, degli stilnovisti, ma non accettano la moralizzazione dell'eros che la chiesa aveva portato dopo la crociata contro gli Albigesi né accettano il paravento ideologico guinizzelliano della donna-angelo né l'identità di amore e cuore gentile. Il presupposto astratto di questa affermazione è satireggiato da Immanuel Romano per il quale il sentimento non è la razionalizzazione che ne avevano fatto gli stilnovisti:
  1. Amor non lesse mai l'avemaria;
  2. Amor non tenne mai legge né fede;
  3. Amor è un cor, che non ode né vede,
  4. e non sa mai che misura si sia.
La parodia e il dileggio del misticismo etico-estetico degli aristocratici «fedeli d'Amore» è nettissima in questa lirica in cui si incontrano persone e non forme evanescenti, scene di vita cittadina, ritratti di uomini e donne, caricature, satira, piccolo mondo locale. In questa letteratura di opposizione sono affermati i valori mondani esclusi dall'artificioso «trobar» e dai cercatori di squisite maniere. Sfregi e oltraggi, derisione dello stilnovismo, del galateo spirituale calato per desiderio di nobilitazione nelle dottrine e nelle forme delle prime scuole poetiche costituiscono un modo per esorcizzare i contenuti e l'ideologia sovramondana, per ritrovare la propria identità.
Che ci sia un margine di gioco, di stile, di capacità, in un poeta, di adoperare il registro alto e quello comune è segno di una presa di coscienza storica. Ma non possiamo chiamare giocosa questa lirica che tale diventerà, in Toscana, dopo la caduta dell'istituzione comunale, trasformandosi in compiacimento dialettale o gergale.
Cecco Angiolieri1 senese (c. 1260 - 1312) trasforma in realismo la raffinatezza dello stilnovo del quale rifiuta il tono alto ed estatico, esibendo con grande perizia i risvolti di una personalità iperbolica e oltranzistica nel mondo di crucci e di angustie in cui si muove; Rustico di Filippo2, (nato fra il 1230 e il 1240, morto fra il 1291 e il 1300) mercante e ghibellino, coglie gli aspetti caricaturali in ritratti e situazioni della vita fiorentina; Folgore da S. Gimignano3 (c. 1270 - c. 1332) rappresenta i piaceri di una società borghese umanizzata dall'apprezzamento della bellezza e della vita gioiosa, nemica dell'avarizia e del moralismo bugiardo:
  1. Chiesa non v'abbia mai né monastero;
  2. lassate predicar i preti pazzi,
  3. ch'hanno troppe bugie e poco vero.
Immanuel Romano (c. 1265 - c. 1331) ebreo, dotato di vigorosa personalità, esibisce polemicamente cinismo ed epicureismo nelle sue dichiarate scelte di vita:
  1. de' cristiani lo bever e 'l mangiare,
  2. e del bon Moises poco digiunare,
  3. e la lussuria di Macòn prezioso:
  4. ché non ten fé, de la cintura in gioso;
ovvero
  1. Viva chi vince, ch'io so' di sua parte!
  2. […] ch' i' di voltar mai non mi trovo manco
  3. e aitar ciascun che vince, infin a morte.
Pieraccio Tedaldi (m. c. 1350) si volge alla lirica gnomica e anticipa i temi della lirica borghese del secondo Trecento. Modi popolari sono in Paolo Lanfranchi.
Del resto fra la borghesia minuta e popolana delle città del Duecento erano diffusi i temi popolareggianti di larga e immediata comunicazione come la canzonetta in cui la figlia si lamenta con la madre perché non le è stato concesso ancora di avere marito:
  1. Non agio quel ch'io voglio,
  2. ma perdo lo sollazo,
  3. spesso languisco e doglio,
  4. fra me me ne disfazo […]
  5. La voglia mi domanda
  6. una cosa che non suole;
oppure (di anonimo toscano) con il babbo:
  1. Mal fa' tu, babo, che no me mariti,
  2. ched io son grande e son mostrata a dite
  3. […] El m'è sì forte cresciuta la voglia
  4. d'andar atorno ch'eo m'en moro di doglia;
o ancora la madre che la ritiene troppo «garçonetta» per il matrimonio:
  1. Figlia, lo cor te trasporta,
  2. né la persona non hai:
  3. tosto podriss'esser morta,
  4. s'usassi con om, ben lo sai. […]
  5. Matre, tant'ho 'l cor aunto,
  6. la voglia amorosa e conquisa,
  7. ch'aver voria lo meo drudo
  8. visin plu che non è la camisa.
  9. Con lui me staria tutta nuda,
  10. né mai non voria far devisa.
  11. Eo l'abraçaria en tal guisa
  12. che 'l cor me faria allegrare;
o il Detto dei villani di Matazone da Calignano, una violenta satira contro i villani e sul modo di governarli, la quale svela la schiavitù in cui i «villani» si trovano:
  1. La zoxo, in un ostero,
  2. sì era un somero;
  3. de dre si fè un sono
  4. sì grande como un tono;
  5. de quel malvasio vento
  6. nascè el vilan puzolento […]
  7. che deza aver per victo
  8. lo pan de la mistura
  9. con la zigola cruda, faxoi, aio e alesa fava,
  10. paniza freda e rava
  11. mandelo per la legna
  12. e fa' che spesso vegna
  13. e ch' el le porta in spala,
  14. perche la rason non fala;
  15. e quand el ven al foco,
  16. falo mudar lo loco.
La lirica realistica della Toscana comunale nell'età fra i due secoli è collegata, non certamente in modo immediato, con la borghesia minuta e con gli strati popolari più attivi; essa è aperta a un pubblico largo, ha il gusto della scena dialogata, farsesca, della deformazione parodistica, della metafora oscena, del linguaggio allusivo, dell'esaltazione dei vizi e dei piaceri comuni). La borghesia, invece, delle specializzazioni amministrative e giuridiche (giudici, notai, maestri di grammatica e di retorica) che costituiscono la classe dirigente del Comune, inserisce motivi borghesi e democratici nella tradizione scolastica latina e neolatina e fa allestire le compilazioni didattiche in volgare. Infine la borghesia ricca e mercantile e l'antica nobiltà guelfa decaduta, che esprimono le esigenze aristocratiche della cultura, tendono a una letteratura preziosa e distaccata, la lirica dello stile tragico e dello stilnovo.



1 Cecco Angiolieri
Scarse e non sempre sicure sono le notizie che abbiamo sulla vita di CECCO ANGIOLIERI, il più celebre dei rimatori realistico-borghesi: discendente di cospicua famiglia guelfa, fu multato più volte per aver disertato durante azioni di guerra e nel 1291 fu implicato nel processo per il ferimento di un certo Dino di Bernardino da Montelucco.
Queste notizie, forniteci dai documenti del tempo, concordano con l'immagine di uomo irrequieto e insofferente che si ritrova nel suo canzoniere, anche se appare ormai superata la tendenza — sostenuta dal D'Ancona — ad interpretare in chiave autobiografica le rime dell'Angiolieri. Conobbe Dante con cui ebbe una «tenzone» poetica e rappresentò la vita in una costante deformazione parodistica e iperbolica che rivela, però, una «attitudine mimica e plastica singolarmente efficace» (Sapegno).
Sul numero e l'autenticità delle rime dell'Angiolieri ancora si discute e il problema sembra di non facile soluzione: gli sono stati attribuiti 150 sonetti, ma sembra che solo 112 siano sicuramente suoi.

2 Rustico di Filippo
Soprannominato «Barbuto», il fiorentino RUSTICO DI FILIPPO appartenne a famiglia popolare e morì verso la fine del secolo XIII.
Lodato da Brunetto Latini nel Favolello e ricordato da Francesco da Barberino come famoso detrattore di donne, fu considerato l'iniziatore del genere «comico» in volgare.
Di lui ci restano 29 sonetti di contenuto amoroso secondo i modi della tradizione siculo-toscana (Rustico, del resto, fu in relazione con alcuni guittoniani) e 29 ispirati al gusto realistico-borghese e scritti in un linguaggio fortemente espressivo.

3 Folgore
Pochissime e incerte sono le notizie sulla vita di GIACOMO DI MICHELE DA SAN GIMIGNANO detto FOLGORE, che si caratterizza nell'ambito della poesia realistica del tempo in quanto non rappresenta il beceresco mondo della taverna che ritroviamo nei sonetti di Cecco Angiolieri e di Rustico di Filippo ma la vita festevole e gaudente di una «brigata nobile e cortese», intesa a un ideale di buon gusto e di mondana eleganza.
Folgore fu al servizio del suo Comune come fante, nella guerra contro Pistoia del 1305, e come cavaliere, e morì prima del 1332. Dei 32 sonetti che di lui ci rimangono, interessanti anche dal punto di vista documentario e forse scritti fra il 1309 e il 1317, ricordiamo le due raccolte o corone dette rispettivamente «dei mesi» (14 componimenti) e «della settimana» (8 sonetti): in esse, in uno stile vivace, tendente alla creazione di un'atmosfera melodiosa e sognante, si consigliano piaceri e divertimenti suddivisi secondo i giorni e i mesi dell'anno.