Capitolo 2: Società borghese e cultura nel Duecento
Paragrafo 4: La letteratura religiosa


Collegata con alcuni motivi di rinnovamento religioso nel Medioevo è la personalità di Gioacchino da Fiore1 (c. 1130 - 1202). Nato in Calabria da famiglia contadina («qui sum homo agricola a iuventute mea» scriveva egli stesso), monaco cistercense, nel 1189 fondò la Congregazione Florense dotandola di regola più severa: soprattutto per la rivalutazione dei lavori manuali e il ritorno alla povertà evangelica. La componente sociale pauperistica è un elemento importante dei modi di riforma religiosa in tutta la penisola italiana: Arnaldisti, Pauperes Lombardi, Valdesi, Patari etc. predicano il rinnovamento morale attraverso la povertà.
Nel Medioevo calabrese, nel grande mutamento antropologico che si verifica, un filo collega pitagorismo, orfismo, metempsicosi come deficienza dell'essere, platonismo con l'ebraismo, col misticismo bizantino e orientale: ne deriva una visione tragica e palingenetica dell'umanità, accompagnata negli interpreti da un linguaggio solenne.
Il pessimismo intorno alla vita presente colora di immaginosi accenti e di impressionante simbolismo la fede di Gioacchino in una nuova epoca del mondo nelle opere Concordia veteris et novi Testamenti, Psalterium decem chordarum, Expositio in Apocalipsim. Nella prima età, l'ebraismo (gloria del Padre, legge di Mosè), l'uomo era ancora dominato dai sensi e dalla carne; nella seconda, cristiana (gloria del Figlio), la Chiesa è ricca di riti e dogmi; nella terza età (dello Spirito) avrà inizio l'Evangelo eterno, la Chiesa interamente spirituale, libera da gerarchie, da visibili sacramenti, da riti e da costrizioni della lettera. Lo Spirito aliterà sulla Chiesa della pace, sugli uomini nuovi, i monaci, i laici puri di cuore che non subiranno il lavoro né la disciplina ma vivranno nella contemplazione e nel riposo sabatico. Per Gioacchino l'età del secondo regno stava per finire e bisognava prepararsi con l'ascetismo, l'amore, il rifiuto della violenza alla venuta del precursore (dello Spirito Santo) che avrebbe percosso la Chiesa per i suoi vizi e avrebbe realizzato il regno della santità.
Il punto centrale della visione profetica era quello di far convergere tutti gli elementi dogmatici, teologici, dottrinari nel rinnovamento religioso della Chiesa e degli uomini con la nascita di «novi homines»; però, secondo l'interpretazione ortodossa, sarebbe stata modificata la rivelazione e distorta la concezione del canone cattolico della perenne facoltà dello Spirito di inviare doni.
La storia umana da Gioacchino era interpretata come processo di liberazione, catarsi spirituale, e recuperava con immaginifiche metafore (la prima età, o della servitù, dei patriarchi, delle ortiche e delle erbe; la seconda, della Grazia, dei giovani, delle rose, delle spighe; la terza, dello Spirito, della libertà, dei fanciulli, della carità, dei gigli e del grano) i valori e le speranze da cui era sorto il cristianesimo, seppelliva i timori della fine del mondo, l'atterrimento per l'evenienza dell'Apocalisse. La personalità di Gioacchino domina tutte le attese della nuova età e l'abate calabrese diventa il prestanome a profeti ed escatologi. Intorno alla metà del Duecento la seconda generazione gioachimita, quella dei frati spirituali, dà un'interpretazione troppo concreta delle concordanze di Gioacchino la cui visione è esposta al rischio di prove storiche: non esclusa la fine del mondo fissata, con Salimbene, all'anno 1260.
Le dottrine di Gioacchino, nonostante le condanne della Chiesa, ebbero eco nella predicazione dei francescani spirituali i quali interpretarono l'avvento di Francesco d'Assisi come la nascita del monachesimo della terza età, dello Spirito Santo.
La spiritualità che trova espressione in Francesco d'Assisi2 (1182-1226) ha radici nei guasti causati dalle contese fra i cittadini e fra le città, dalle lotte per motivi di mercato, dalle ingiustizie sociali, dalla corruzione della Chiesa e il Cantico di frate sole è una preghiera che afferma la possibilità di risarcire i mali con l'esaltazione del legame che unisce le creature al Creatore. La prosa ritmica di Francesco ha la solennità di un salmo e contemporaneamente rivela, con unità artistica, le ragioni ideologiche del movimento francescano: il semplice amore evangelico inteso come pratica di vita, come fatto naturale e come ricreazione dell'armonia della vita della quale è partecipe anche la morte.
Tra i riformatori vi sono taluni cresciuti in ambiente laico e popolare i quali hanno in comune con i riformatori ecclesiastici o monacali la povertà della Chiesa. Mentre costoro, però, subordinano i testi sacri all'autorità della Chiesa, i primi fanno dipendere la tradizione dommatica e disciplinare della Chiesa dal Vangelo. Appellarsi al Vangelo per opporsi alla gerarchia ecclesiastica voleva dire favorire gli interessi laici e borghesi poiché i vescovi-conti venivano spogliati del potere temporale, del potere mondano e feudale che essi avevano.
Nell'Umbria prima e poi in tutte le parti d'Italia schiere di Disciplinati, Flagellanti, Seguaci dell'Alleluia, flagellandosi invocano la misericordia divina ed esaltano la povertà (così Raniero Fasani: «piangendo si colpivano di forza sulle scapole fino all'effusione del sangue e versando calde lacrime […]. Solo il canto dei penitenti risonava lugubre per ogni luogo»). Salimbene descrive i seguaci dell'Alleluia a Parma nel 1233, le turbe recanti rami di allori e candele accese, guidate da frate Cornetta («Egli aveva in capo un cappello armeno e barba lunga e nera e una tromba di rame piccolo, con cui buccinava, e la sua tromba reboava terribilmente»). Nella seconda metà del Duecento i movimenti pauperistici sono ravvivati dall'impeto profetico dei gioachimiti e i fraticelli seguaci di Gerardo di Borgo S. Donnino e di Fra Dolcino vivono nell'attesa dell'apparizione dell'Anticristo, dell'avvento del regno dello Spirito Santo.
Nell'ambito dei sodalizi laici dei disciplinati cominciarono a sorgere alla fine del Duecento le laudi sacre, canti religiosi che hanno come argomento la vita di Cristo, di Maria, dei Santi, i fatti dei Vangeli e hanno anche forma drammatica. Questi componimenti popolari, rivolti a un pubblico devoto composto di uomini semplici per scopo di educazione religiosa e liturgica, hanno diverso valore artistico. Ritenuti un tempo repertori di scarsa importanza, sono invece assai utili documenti del modo di sentire il rapporto precario dell'uomo con la società dei potenti e dei ricchi e del modo di inserirsi in una storia collettiva ed esemplare, quella della giustizia ultraterrena a cui i testi rimandano. Nella laude perugina Contrasto del povero e del ricco è svolta drammaticamente la parabola di Lazzaro e del ricco Epulone. Il ricco che ha scacciato il mendicante nudo e straccione difendendo la disuguaglianza delle fortune
  1. (L'uno ricco l'altro none
  2. chi meie procura quillo ha piune […].
  3. Io non curo d'altra vita
  4. ché questa aggio bien fornita)
è gettato nell'inferno:
  1. Vienne, avaro pecunioso,
  2. ch'adoraste la moneta,
  3. giù 'n lo 'nferno a star doglioso,
  4. a patere pena enfinita.
  5. […] Stemperate oro e argento,
  6. daiteglielo per beveraggio;
  7. fuoco e fiamma e gran tormento
  8. sempre faccia quisto saggio [assaggio].
La grande lirica drammatica di Jacopone da Todi3 (c. 1230 - 1306) nasce in questo tessuto religioso e culturale popolare. Sottopostosi a dieci anni di penitenza dopo la conversione e prima di entrare fra gli intransigenti Spirituali francescani, Jacopone fu ferocemente antimondano, avverso alla mondanità della curia romana e del pontefice Bonifacio VIII che, dopo l'espugnazione della rocca di Palestrina nella quale il frate era con i Colonna nemici del pontefice, lo tenne incarcerato per cinque anni. Avversò anche la corruzione che era penetrata nel proprio ordine. Negatore di tutto ciò che pertiene il corpo («Corpo enfracidato»), la scienza, le scuole dell'uomo, Jacopone indica la miseria della condizione umana con satira e sarcasmo potenti. Così si rivolge all'uomo sepolto:
  1. Or ove so' l'occhi cusì depurati?
  2. For de lor loco sì so' iettati […].
  3. Or ov'è la lengua cotanto tagliente?
  4. Apri la bocca, si tu n'hai niente […].
  5. Or chiama i parenti, che te venga aitare,
  6. che te guarden dai vermi che te sto a devorare.
L'intransigenza del temperamento induce Jacopone alla massima severità contro il pontefice autocrate, descritto come un Anticristo. Dal fondo del carcere in cui giace incatenato il frate afferma che la propria forza è garantita dalle sventure che lo colpiscono:
  1. (Da poi ch'io me so' colcato,
  2. revoltome ne l'altro lato;
  3. nei ferri so' enzampagliato,
  4. engavinato êl catenone […].
  5. Iace, iace en esta stia
  6. como porco de grassia!)
e con la violenza popolaresca del religioso militante inveisce contro i vizi della curia. Il misticismo di Jacopone è una ragione della lotta non solo contro i vizi ma anche contro i peccatori: occorre, perciò, accomunare ispirazione religiosa e politica. Le istituzioni, infatti, religiose o mondane non si salvano quando vengono a compromesso. Poiché la politica non è soltanto opportunità di sfruttamento politico, ma anche affermazione di ragioni ideali, Jacopone sottoscrive il manifesto di Lunghezza (1297) che considera illegale l'abdicazione di Celestino V e l'elezione di Bonifacio e invoca il concilio generale.
I ritmi jacoponici contro Bonifacio sono sostenuti da un linguaggio inventato, scorciato, drammatico, carico di foschi presagi che non sarebbe sorto senza l'assunzione, da parte del poeta, dei sentimenti pauperistici, evangelici, antiborghesi di masse di popolazione che apocalitticamente rendevano estremi i misticismi gioachimitici, panteistici.
Intorno alle laude di Jacopone — che è la maggiore personalità del Duecento, avvicinabile solamente a Dante — la critica ha agitato il problema (non molto produttivo) della rozzezza o della esperienza tecnica della lingua. Molto più utile è lo studio dei rapporti di Jacopone con i focolari pauperistici, con i laudesi, i flagellanti. con i moti libertini e con il loro retroterra di esaltazione religiosa, con gli uomini politici.
Componente politica e legami con i sentimenti religiosi e politici delle popolazioni non soltanto umbre oggi sono i problemi più attuali che l'ideologia mistico-politica di Jacopone propone. La stessa alienazione in Dio del frate non ha maggior furore, del resto, del desiderio di trasformare istituzioni, uomini, vizi.
Il dramma di Jacopone è anche antropologico e politico ed è fuorviante considerarlo soltanto un dramma individuale quando il frate scorge gli aspetti sociali ed economici della corruzione e porta dentro di sé l'aspirazione delle misere turbe a un mondo migliore. Alle popolazioni Jacopone offrì anche un modello di resistenza e di opposizione all'autocrazia curiale, dalle loro sofferenze derivò il sentimento del dolore personale delle creature che trasferì alla madre di Cristo nelle grandi rappresentazioni del pianto della Madonna e dello Stabat Mater.



1 Francesco d'Assisi
Nato ad Assisi, FRANCESCO si allontanò ancora giovane (nel 1204) dalle pratiche di vita gaudente e dissipata in cui era vissuto fino ad allora: convertitosi a vita di umiltà e di penitenza secondo l'ideale pauperistico, fondò l'ordine dei Frati minori (la regola fu approvata definitivamente da papa Onorio III nel 1223) che si ispirava all'ideale del ritorno alla vita evangelica e divenne una delle istituzioni più importanti nella lotta della Chiesa contro le eresie. Autore di Laudes in latino e di lettere che sono documenti della sua attività apostolica, Francesco d'Assisi merita un posto nella storia della nostra letteratura per il Cantico di frate sole, opera anch'essa nata con intenti religiosi più che poetici (esaltazione della bontà divina, dell'umiltà francescana, della vita come manifestazione di Dio), ma che è anche percorsa da un diffuso senso di poesia.

2 Jacopo de' Benedetti
Nato a Todi, JACOPO DE' BENEDETTI (alias JACOPONE DA TODI) compì gli studi giuridici a Bologna e per oltre trent'anni esercitò l'avvocatura e il notariato, vivendo una vita agiata e mondana. La sua conversione alla vita ascetica — che le antiche testimonianze ci presentano improvvisa e sconvolgente — avvenne nel 1268 in seguiti. ad una disgrazia in cui trovò la morte la giovane moglie Vanna. Sconvolto dalla sciagura e dalla rivelazione dell'insospettata religiosità della moglie, Jacopone abbandoni la professione e le pratiche mondane per darsi alla preghiera e alla penitenza (molte leggende ci sono state tramandate sulla sua «santa pazzia»). Nel 1278 entrò nell'ordine francescano e, spinto dall'intransigenza e dal furore ascetico che lo portava ad umiliarsi ed avvilirsi per rendersi degno del perdono di Dio, si schierò con gli Spirituali che sostenevano il rigido mantenimento della regola di S. Francesco. Scomunicato da Bonifacio VIII e chiuso in prigione dopo l'espugnazione di Palestrina del 1298, fu liberato nel 1303 da papa Benedetto XI; si ritirò allora nel convento di Collazzone presso Assisi dove morì nel 1306. Oltre alle Laude (un centinaio di cui alcune in forma lirica, altre in forma drammatica), la tradizione attribuisce a Jacopone un Trattato, una raccolta di Detti e componimenti in latino che appaiono pervasi dallo stesso spirito di tormentato e inebriante misticismo delle Laude, ma la cui autenticità è stata messa in dubbio da alcuni studiosi.

3 Gioacchino da Fiore
Le notizie sulla vita di GIOACCHINO DA FIORE sono ancora oggi incerte e contornate di leggenda. Nato a Celico, nel Cosentino, si recò fra il 1147 e il 1149 in Palestina; nel 1152 entrò nell'ordine cistercense e fu nell'abbazia di Sambucina, in quella di Corazzo e, fra il 1183 e il 1184, a Casamari. Gli ultimi anni della sua vita furono dedicati all'organizzazione e alla cura della Congregazione Florense (da lui fondata nel 1189) che ebbe la sede nel convento di Fiore, tra le foreste della Sila.
Il messaggio profetico e rinnovatore dell'abate calabrese non sfuggì all'attenzione e al consenso di Dante che, nel quadro della Commedia, collocò Gioacchino in paradiso, nel cielo del Sole: del resto, analogie con immagini e spettacoli della Commedia si possono cogliere nel Liber figurarum, una raccolta di tavole che illustrano figurativamente i concetti espressi nelle opere di Gioacchino.