Capitolo 18: Le contraddizioni sociali e culturali dell'età umbertina
Paragrafo 3: Società e cultura nella «Storia» di Francesco De Sanctis


La nuova storiografia letteraria italiana lascia da parte l'impianto erudito settecentesco e mira soprattutto a vedere la letteratura come espressione della società. Così è in Paolo Emiliani Giudici (1812-72) autore di una Storia delle belle lettere in Italia (1844) ghibellineggiante e in Luigi Settembrini il quale scrisse le Lezioni di letteratura italiana (1866-72) con un gusto filoclassicista e una visione laica, nazionale e popolare intesa come riscatto dai mali arrecati all'Italia dalla teocrazia cattolica.
Ma colui che per organicità mentale e morale porta al massimo livello storico l'esame letterario è Francesco De Sanctis1 (1817-83) di Morra Irpina la cui Storia della letteratura italiana (1870-71) è la più complessa e profonda indagine sui legami tra la società fiacca e corrotta e i conseguenti vizi letterari della retorica e dell'accademia. Entrato come discepolo nella scuola laica e purista di Basilio Puoti, più tardi (1839) apriva in vico Bisi la sua «prima scuola» napoletana durante la quale il giovane maestro conosceva l'opera di Hegel da cui avrebbe derivato la concezione dell'opera d'arte come rapporto organico tra elemento intellettuale e sensibile. Quella scuola nel '48 andò sulle barricate:

maestro e discepoli dicemmo: — Ma che? La nostra scuola è per avventura un'accademia? Siamo noi un'Arcadia? No; la scuola è la vita. — E maestro e discepoli entrammo nella vita politica, che conduceva all'esilio, alla prigione, al patibolo.

De Sanctis fu arrestato e dovette trasferirsi in Calabria, nel 1850 fu ancora incarcerato per tre anni. Nel 1853 si trasferisce a Torino
  1. (Noi — scriverà più tardi un amico — lo avevamo veduto lacero e quasi senza scarpe per Torino, pochi anni addietro, cercare un posticino in qualche collegio, il che non aveva conseguito perché in grazia delle sue credenze ben poco cattoliche e de' suoi principi avanzati vuolsi lo avversasse il Bertoldi, allora ispettore generale)
e nel 1856 è chiamato al Politecnico di Zurigo a insegnare letteratura italiana.
Nel '60 ritorna a Napoli ed è nominato da Garibaldi governatore di Avellino, quindi è ministro dell'istruzione nel primo governo del Regno d'Italia. Dopo la presa di Roma fu chiamato (1871) a insegnare letteratura italiana all'università di Napoli (la «seconda scuola» napoletana) finché la sinistra al potere lo richiamò alla vita politica come ministro.
I riassunti delle lezioni fatti dagli allievi della prima scuola napoletana

(Oh come quei sunti mi paiono pallidi dirimpetto a quelle lezioni nelle quali appariva tutta l'anima…quel sunto mi è parso il mio cadavere. Chi mi dà l'uomo vivo […] Di noi muore la miglior parte, e non ci è memoria che possa risuscitarla)

contengono «in nuce» alcuni giudizi che troveremo nella Storia: la letteratura del Rinascimento contrapposta a quella medievale, la volgare all'umanistica, l'evoluzione del petrarchismo («Il Bembo ebbe il merito di restaurare gli studi sulla lingua italiana; ma, erudito e dotto, non aveva ingegno vero, né di poeta né di prosatore»).
Con Hegel pare a De Sanctis che l'arte si svolga con lo svolgersi del concetto filosofico ma intorno al 1855 il critico abbandona l'hegelismo, afferma l'indipendenza dell'arte, l'indifferenza del contenuto astrattamente considerato. Nel Saggio sul Petrarca (1869) sostiene che contenuto e forma non possono essere scissi ma si identificano nella rappresentazione fantastica che fa di essi un organismo vivente, una nuova forma in cui gli elementi sono fusi. In tal modo né la veste esteriore né il contenuto grezzo possono vivere isolatamente o male combinandosi.
In decenni di studi e di scuola De Sanctis si era venuto esercitando in ricerche monografiche che avevano rinnovato i giudizi critici e riscoperto i poeti col criterio della «forma» sia singolarmente che in rapporto alle letterature straniere: le lezioni napoletane ci conducono da Milton a Klopstock, da Richardson a Goethe, a Shakespeare, le linee di nuova letteratura si intersecano continuamente con i fondamenti dal metodo estetico, gli elementi linguistici si fondono col «pathos» della storia politica e civile d'Italia.
Nella Storia — incontro con la vita morale italiana sentita attraverso il Risorgimento — è sottolineata la decadenza dalla pienezza della vita comunale del Rinascimento, in cui vita e arte si scindono e allo splendore dell'ingegno si contrappone la servitù politica. L'arte risorgerà con la coscienza morale (Parini e Alfieri). Nella Commedia si rispecchia la vita italiana del Medioevo artisticamente realizzata. Dopo Dante quel mondo vigoroso si scinde nel contrasto tra forma armoniosa e contenuto debole in Petrarca, «natura contemplativa e solitaria» che ebbe il sentimento delle belle forme, della bella donna, della bella natura. Le pagine della Storia dedicate a Petrarca si collegano con quelle del Saggio sul Petrarca in cui De Sanctis reagisce contro il tardoromanticismo svenevole, in nome dell'«amore del reale»:

E questo terribile reale […] noi lo conquisteremo poi, se lasciando i problemi assurdi dell'alchimia, ci metteremo nel campo della scienza.

La critica di De Sanctis era critica militante, battaglia culturale in nome di una concezione della vita e dell'uomo. Essa diventava creazione etica di un modo di vivere, di una condotta civile e individuale perché l'uomo partecipava «a un momento creativo della storia politica italiana» in cui la volontà politica era «rivolta a suscitare forze nuove ed originali e non solo a calcolare su quelle tradizionali» (Gramsci). Perciò queste pagine su Petrarca con le indicazioni di concretezza e realismo

(L'uomo sano e forte non si propone mai un di là irraggiungibile, una certa idea, un non so che, una qualche cosa, un obiettivo indistinto e confuso decorato col nome d'ideale)

si compongono in un coerente pensiero etico e pedagogico.
Decamerone l'edificio medievale crolla e dalle sue rovine escono le fondamenta di un mondo intonato alla comicità e al naturalismo. Umanesimo e Rinascimento sono indifferenti ai contenuti e soltanto con Machiavelli incomincia la «coscienza» di «restituire l'uomo nella sua serietà e nella sua attività». Machiavelli rinnova la «base intellettuale» osservando la storia e le sue leggi mentre in Guicciardini (il cui «uomo» è lo specchio clerico-moderato dell'Ottocento) compare una generazione fiacca, rassegnata, senza illusioni, la quale ha un codice fondato «sul divorzio tra l'uomo e la coscienza e sull'interesse individuale».
La nuova letteratura «non poteva risorgere che con la resurrezione della coscienza nazionale», il naturalismo «segna l'aurora de' tempi moderni», Bruno e Campanella cercano «l'esser dietro il parere». Il vero e il naturale nell'arte sono nella rinascita illuministica, con Parini si entra nel mondo del concreto, anzi «la base della forma e la verità dell'espressione» e la forza di Parini è «più morale che intellettuale». Alfieri preannunzia un'epoca rivoluzionaria, Foscolo dei Sepolcri, purificatosi della psicologia dell'Ortis, appare poeta dell'umanità e della storia.
Tra il 1871 e il '76 De Sanctis tenne a Napoli dei corsi su Manzoni, sulla scuola liberale e su quella democratica, su Leopardi, con l'intenzione di continuare la Storia. In queste lezioni (raccolte nell'opera La letteratura italiana del secolo decimonono) sono studiate le opere di Manzoni in cui l'ideale è visto incarnarsi nel reale.
Nella Storia la vita politica confluisce nella letteratura come cultura, al pari delle discipline artistiche e filosofiche, gli elementi biografici degli scrittori nello spirito dell'età e della civiltà. Ricordiamo la delineazione dello svolgimento di Boccaccio dalle opere minori alla maggiore, l'affermazione dell'universale validità scientifica del pensiero di Machiavelli, la riscoperta dell'umanità di Parini, motivi che devono essere collocati nel grande quadro desanctisiano di civiltà e vita morale. Il romanticismo è per De Sanctis un movimento animato da spirito religioso, la nuova conquista del secolo XX che continua l'illuminismo ma ne sostituisce l'astrattezza: Manzoni e Mazzini vi partecipano in quanto antimaterialisti e antigiacobini. Leopardi è recuperato al realismo antieroico ma De Sanctis colloca fuori posto gli idilli leopardiani che chiama manzoniano-realistici. Il classicismo finisce con Monti, e i classicisti illuministi dell'Ottocento non figurano nel quadro della Storia perché il critico esclude dall'«ethos» populistico-religioso i caratteri e i toni degli scrittori di spirito democratico.
De Sanctis fu anche grande scrittore. Nelle sue pagine, aliene da pessimismo, c'è l'entusiasmo morale per le idee nuove, l'insofferenza contro i commentatori pedanti che badano all'accessorio e alle quisquilie; procede per contrapposizioni critiche immediate nel confronto fra Petrarca e Boccaccio («Chi legge il Canzoniere […] Se ora apri il Decamerone gli è come un cascar dalle nuvole»), per asseverazioni decise («Il Poliziano è la più spiccata espressione […] L'Orfeo è un mondo di pura immaginazione»).
Lo stile è adeguato all'argomento: comune quando parla di Aretino («Pietro vi gavazza entro come nel suo elemento»), discorsivo quando manifesta fastidio per la frigidità stilistica di Speroni («Questo è un solo periodo! E che affanno! e domando se vi par lingua viva»), moralmente indignato quando espone la dottrina gesuitica della riserva mentale («Vedi quante scappatoie!»), conciso quando parla di Alfieri («Copiò, postillò, tradusse»), solenne quando ricorda Bruno («E inchiniamoci prima dinnanzi a Giordano Bruno»).
L'ultimo De Sanctis, che nella Storia aveva studiato lo svolgimento della cultura e della società dalle astrattezze medievali alla realtà del Risorgimento, accoglie con quella giovanilità che è una caratteristica dell'uomo il realismo dell'età positiva. Questo «reale» era la nuova passione morale non in quanto «sistema» ma in quanto impegno etico aperto verso il futuro (a Roma, aveva detto qualche anno prima, andremo come alla «capitale dello spirito moderno» per crearvi «non il passato ma l'avvenire»). Nelle pagine Darwinismo nell'arte e L'arte e la scienza studiò il modo di attuare ancora, in una situazione diversa da quella del romanticismo, la teoria e la pratica, la scienza e la vita.
Fu ancora una volta tra i primi a intendere il valore della scienza come lotta — ritornava pure negli ultimi anni l'ardore del militante — per una nuova cultura e per un nuovo costume, il motivo unitario della sua personalità che fa di De Sanctis il maggiore critico della nostra letteratura.