Capitolo 18: Le contraddizioni sociali e culturali dell'età umbertina
Paragrafo 8: Giosué Carducci
più gran nazione latina», sfocamento dello spirito democratico, adesione alla politica di Crispi, avversione ai motivi sociali popolari, rinascita della retorica della romanità.
amici pedanti» Giuseppe Chiarini, Giuseppe Torquato Gargani e Ottaviano Targioni Tozzetti la polemica antiromantica per una cultura nazionale. Nel 1860 fu nominato professore di letteratura italiana all'università di Bologna dove insegnò fino al 1904; dal 1878, come avvenne ad altri appartenenti alla sinistra mazziniana, si venne avvicinando alla monarchia inserendosi nella classe dirigente borghese e modificando motivi e forme della sua poesia. Destra moderata e sinistra convertita alla monarchia («
La monarchia ci unisce e la repubblica ci dividerebbe» proclama Crispi ex-garibaldino, ex-repubblicano, ex rivoluzionario) seguono la logica patriottica unitaria, la borghesia che le ingloba segue la logica di classe di non alterare la struttura economica e ritardare lo sviluppo del movimento operaio.
la sublime banalità dei pensieri» e l'«
altrettanto sublime ovvietà dei ritmi che li esprimono» (Asor Rosa). Nella vita bolognese di Carducci fu molto importante l'amore per Lina Piva Cristofori che lo avvicinò al gusto delle letterature straniere e moderne. Nel 1890 fu nominato senatore, nel 1906 gli fu assegnato il premio Nobel.
amici pedanti» (1856-59), ideale di rinnovamento culturale: non casualmente le idee di Giordani erano per gli «
amici» lezione di libertà e di laicismo.
Il sodalizio fiorentino non aveva quale asse culturale l'hegelismo, come lo ebbe De Sanctis, e la formazione filosofica degli aderenti era limitata ma il laicismo giovanile di Carducci è contro il moderatismo toscano, contro la cultura parruccona leopoldina; più tardi sarà, nella sinistra governativa, in funzione anticlericale (con coloriture massoniche: Carducci fu massone, amico di Adriano Lemmi gran maestro dal 1885 in poi).
Passione politica e allargamento della cultura attraverso la lettura di Proudhon, Quinet, Michelet, Hugo precisano la poesia etico-civile di Carducci come pienezza e sanità di vita sorretta dall'ideologia della rivoluzione di Francia. L'Inno a Satana (1863) è un canto illuministico-materialistico alla ragione e al progresso che trionfa sull'oscurantismo e non può essere facilmente demolito per la sua antiesteticità e astrattezza: per Carducci era un simbolo (una «
birbonata utile» egli lo disse) democratico contro gli spiritualismi mazziniani e borghesi.
- (
Ma i cavalier d'industria- che a la città di Gracco
- trasser le pance nitide
- e l'inclita viltà
- dicon, se il tempo brontola,
- finiam d'empire il sacco;
- poi venga anche il diluvio;
- sarà quel che sarà),
sociali» favorevoli al compromesso.
la rivoluzione sarà nazionale, politica, sociale. Sociale, a dispetto di chi non vuole», 1862;
La civiltà borghese dice alla plebe: Bada, io sto quassù su questo monte: tu se' padrona di venirci quando vuoi: io non manderà i miei valletti a respingerti r. bastonate o a sassate […]. Ma la plebe ha poi la catena e la palla del galeotto al piede, onde non si può muovere, 1868;
Oh l'entrata in Roma! II governo d'Italia salì per la via trionfale come fosse la scala santa, ginocchioni, con al fune al collo, facendo delle braccia croce a destra e a sinistra, e gridando mercé — Non posso fare a meno, non posso fare a meno (prefazione a Giambi ed epodi);
Invettiva, sarcasmo sono i modi energici e scattanti del militante Carducci e costituiscono la novità realistica della sua poesia, di un'opera disuguale ma unitaria nel calore della verità e nella assorta malinconia del lottatore:Vieni, o spirito creatore delle età nuove; vieni e scendi, ma non su dodici privilegiati, ché il tempo dei privilegi è passato; scendi su il popolo tutto, su i popoli tutti, o spirito di verità, di libertà, di giustizia, 1873.
- Quand'io salgo da' secoli sul monte
- triste in sembianti e solo
- levan le strofe intorno a la mia fronte,
- siccome falchi, il volo.
il giovenile incanto») fiammeggiante nell'estate e il presente carico di lutti, inganni, delusioni («
Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano»).
Ahi, da che tramontò la vostra etade |vola il dolor su le terrene culle!».
nobile razza ariana» adoratrice del sole contrapposta alla religione semitico-cristiana. Il rifiuto è da sottolineare non tanto come abnormità storica quanto come indebolimento artistico, generatore di retorica.
barbare», però, sono su questo piano. «
Barbare» erano chiamate queste liriche perché Carducci cercò di rendere il ritmo dei versi latini con gli accenti italiani. L'innovazione, che gli antichi avrebbero chiamata barbara, venne sciogliendo la tradizionale musicalità del verso, diede valore autonomo alle singole espressioni e aprì la strada al verso sciolto.
- qual caduta di foglie, gelida,
- continua, muta, greve, su l'anima! […]
- io voglio io voglio adagiarmi
- in un tedio che duri infinito;
- Sol nel passato è il bello,
- sol ne la morte è il vero;
- O lontana a le vile de i duri mortali travagli
- isola de le belle, isola de gli eroi,
- isola de' poeti!;
Salve dea Roma!», «
Salve, o tu buona», delle liriche Nell'annuale della fondazione di Roma e Alla Regina d'Italia.
Barbare» più intime sono l'avviamento alla sottile vita poetica delle più malinconiche liriche di Rime e ritmi (1898) che nel complesso delle odi celebrative (Piemonte, Cadore, Bicocca di San Giacomo, Alla città di Ferrara) cadono nell'astratto e nel decorativo.
Diamante» dell'editore Barbera, e dal 1989 la biblioteca di classici italiani della Sansoni.
1 Giosuè Carducci
Non sostenuto da adeguata cultura filosofica e da vigore di pensiero, ma sensibile ai valori della poesia e della lingua letteraria della nostra tradizione (dal che derivano l'attenzione ai poeti colti e raffinati come Poliziano, Parini e Monti e la parziale rivalutazione dell'Arcadia), GIOSUÉ CARDUCCI mirò, in polemica con le svenevolezze del tardoromanticismo, a operare una restaurazione del senso del reale alla luce dell'ideale della poesia classica.
Siffatta tendenza, unita alla propensione alla plasticità figurativa e statuaria e alla convinzione della superiorità del verso sulla prosa, lo portò ad assumere un atteggiamento polemico nei confronti dei veristi («panciuti zoliani»), degli scapigliati e di Manzoni (di cui apprezzò Odi e tragedie ma non il romanzo).
Sostenitore di Betteloni e Stecchetti, inizialmente ostile all'influenza delle letterature straniere sulla linea di Giusti, e della «paesanità» della cultura italiana, si aprì in seguito alla conoscenza di autori come Hugo, Goethe, Heine, Platen, e propugnò l'ideale del «poeta artiere» che si sottopone a un costante lavoro di studio e di ricerca (è su questa base che il Russo ha dissolto l'immagine tradizionale di un Carducci romanticamente esaltato).
Fra i motivi caratteristici della sua poesia si possono ricordare il gusto (elogiato da Croce) delle rievocazioni di epoche storiche (il Medioevo comunale, la Roma repubblicana, il Risorgimento), proiettate di solito su uno sfondo di paesaggio e simboleggianti ideali cari all'autore, e la connessione, sottolineata da Binni, tra il nostalgico amore per la vita goduta nella sua luminosa pienezza e il «sentimento della morte come totale e fisica privazione di vita».
Antonio Piromalli, Storia della letteratura italiana, Cap. 18, Par. 8 , http://www.storiadellaletteratura.it/main.php?cap=18&par=18
Copyright © dal 2007 - Licenza di distribuzione Creative Commons Attribution-NonCommercial-NoDerivs 3.0 Unported