Capitolo 17: Crisi e delusioni post-risorgimentali
Paragrafo 4: La «scapigliatura» milanese


Ben altro è il modo di vivere la crisi postunitaria a Milano i cui intellettuali avvertono la crisi all'interno della borghesia come esigenza individualistica di verità, di concretezza, di novità contro i rapidi mutamenti economici causati dal capitalismo industriale e agrario, contro l'accademismo ufficiale e l'ipocrisia moralistica dei ceti che si sono solidamente assestati. Si chiamarono scapigliati (da Scapigliatura, titolo di un romanzo di Cletto Arrighi) gli artisti che tra il 1860 e l'80 intesero la vita detta di «bohème» in Francia come una vita di libertà nelle sue reazioni e nella sua irregolarità. Credevano questi artisti di essere veri e di vivere effettivamente, realizzandosi come personalità, abbandonandosi all'esistenza senza regole, irridendo la malata letteratura tradizionale («Noi siamo i figli dei padri ammalati»), Manzoni («Casto poeta che l'Italia adora, |vegliardo in sante visioni assorto, | tu puoi morir! … | degli anticristi è l'ora!»), cantando «l'Ideale che annega nel fango».
Così scriveva (1864) il milanese Emilio Praga1 (1839-75), contestatore e avanguardista letterario, morto per alcoolismo ed autore di Tavolozza (1862), Penombre (1864) e di Trasparenze (postumo) ma sostanzialmente manzoniano di sinistra («La libertà che idoleggiasti l'hanno | i tribuni e i liberti»; sia la croce della tomba di Manzoni «luce immensa…non velo!»). Del resto Manzoni per Praga si associava (ma anche D'Azeglio dimenticato dai «vecchi poeti in legulei mutati») all'infanzia («Blanda infanzia! Mia seria adolescenza!…| Io vi chiamo Manzoni!»), simbolo di sogni e di ideali traditi da una realtà crudele.
Avversione ai padri e al presente mentitore, invenzione di contenuti (turpitudini e corruzioni come verità, ideale come menzogna) e forme nuove nascevano cogli scapigliati da esigenza di concretezza e realtà. Le novità, nel desiderio degli scrittori di sprovincializzare l'Italia, vennero mutuate dalla letteratura francese e soprattutto dal satanismo dei Fiori del male di Baudelaire in un continuo sperimentalismo formale.
Il movimento fu lombardo-piemontese, delle regioni che si trovavano all'avanguardia economica ed ebbe caratteri di rivolta dell'artista contro l'utilitarismo di una società volta al pratico e al pecuniario, di ricerca di una identificazione al di fuori della logica dello sviluppo industriale alienante. Ma la capacità di comprendere teoricamente tale logica e il rapporto dell'artista con quella società e con quella interna italiana fece restare gli scapigliati in un rifiuto di superficie, in un anarchismo letterario (e qualche volta politico e letterario).
Il loro sperimentalismo maturò sia l'ambiente del realismo che quello del decadentismo per la matrice anfibia della protesta antiborghese ma individualistica e non coinvolgente le forze sociali. Un altro aspetto caratteristico degli scapigliati è la tendenza all'unità delle arti, la ricerca di una unità espressiva intensa per manifestare più concretamente la separatezza costretta dell'intellettuale dalla società.
Emilio Praga nei suoi versi descrisse la realtà orrida o ipocrita e l'amore dei sogni, «l'amor del cielo» e «l'amor del loto», Arrigo Boito2 (1842-1918) padovano, librettista dell'Otello e del Falstaff di Verdi e musicista autore del Mefistofele e del Nerone, fu anch'egli poeta del dualismo dell'uomo «… librato | fra un sogno di peccato | e un sogno di virtù». Boito nel Re Orco (1865) e nel Libro dei versi (1867) ha un'ispirazione tragico-umoristica vicina alla poesia tedesca, con motivi dissolvitori macabri e parodistici inconsueti nella nostra lirica compassata e che aprono la strada alle parodie ironiche di Gozzano.
Gli influssi baudelairiani si avvertono in Giovanni Camerana (1845-1905) magistrato morto suicida mentre in Ugo Iginio Tarchetti (1841-1869) piemontese come Camerana, morto di tisi, autore di racconti, prevalgono l'ossessivo e l'abnorme. Singolare perché sta a sé nella «scapigliatura» per i suoi sperimentalismi linguistici e per il carattere solitario il pavese Carlo Pisani Dossi (1849-1910), umorista raffinato nella Vita di Alberto Pisani e in Desinenza in A. Cletto Arrighi e Cesare Tronconi sono i più oltranzisti nella polemica artistico-sociale. Vicini agli scapigliati furono anche Alberto Cantoni, umorista mantovano; Giuseppe Rovani (1818-74) milanese, erudito e raccoglitore di aneddoti nel romanzo I cento anni; il piemontese Giovanni Faldella (1846-1928) autore di Figurine, nonché i pittori e scultori Emilio Gola, Tranquillo Cremona, Daniele Ranzoni.
Dagli scapigliati discende la spinta contro l'accademismo classicheggiante (del tardo purista abate vicentino Giacomo Zanella, verseggiatore senza rilievo, e di altri) o romanticheggiante, la tendenza realistica che aprirà la strada ai crepuscolari. Fra il gruppo lombardo e questi ultimi è Vittorio Betteloni (1840-1910) veronese, amico degli scapigliati ma di equilibrata misura realistico-borghese nei versi quasi prosastici di In primavera (1869) e del poemetto Piccolo mondo in cui cantò amori per crestaie, affetti familiari e coniugali.
Se scarsi sono i risultati artistici del filone sociale scapigliato, tuttavia esso raccolse i fermenti anarchici, democratici, bakuniniani della sinistra radicale milanese i quali trovarono la loro espressione realistica, anticlericale e antiborghese in Paolo Valera3 (1850-1926) nato a Como, frequentatore degli scapigliati, amico di Felice Cavallotti, di Verga, poligrafo, giornalista anarchico e socialista di grandissima attività. Dopo avere conosciuto Anna Kuliscioff a Lugano Valera collaborò a «La plebe» (su cui scriveva Engels) dove pubblicò a puntate Milano sconosciuta. Nel 1881 fondò «La lotta», giornale anarchico, l'anno dopo pubblicò il romanzo Alla conquista del pane. Esule a Parigi e Londra, al ritorno ebbe parte nella vita politica e culturale milanese, fu arrestato per i moti del 1898 (sui quali scrisse Le terribili giornate del maggio '98. Storia documentata). Fondò quindi il settimanale «La folla» e scrisse con questo stesso titolo un romanzo che fu elogiato da Zola.
La figura di Valera è quella dell'intellettuale popolare prosecutore della tradizione laica e sociale lombarda, impegnato politicamente e culturalmente in una immensa attività pubblicistica intesa a denunciare, come scrisse egli stesso, «un periodo di vigliaccherie politiche, di orrori ministeriali, di stragi militari, di giustizia delittuosa».