Capitolo 16: Il classicismo illuministico e Giacomo Leopardi
Paragrafo 6: La protesta dell'ultimo Leopardi


Ambienti diversi da quello di Recanati e situazioni diverse impegnano Leopardi dopo il 1830 in un rapporto carico di tensione polemica contro lo spiritualismo pseudo progressista dei moderati. Lo scrittore riprende con maturo e virile vigore i temi del Bruto minore con un raggio linguistico che non è più quello lirico di elettissima espressione negli anni 1828-30. Adesso satira, gnomica, lirica, dialogo, drammatica costituiscono il ventaglio espressivo del colloquio eroico di chi chiama a raccolta gli altri uomini per dire che si può e si deve lottare contro la Natura. Fra le tensioni di questi ultimi anni quella d'amore acquista nel Pensiero dominante (1831) un'energia che trasporta il poeta in un mondo di passione quasi eroica che lo distacca dai modi consueti di vita («commerci usati», «mondano conversar» del «mondo sciocco»), dagli uomini che si nutrono di «vote speranze» e «ciance», che si chiudono nel calcolo dell'utile. Questo Leopardi si misura con il quotidiano pratico e utilitario portando nel confronto i'appassionamento per ciò che è animoso, essenziale, vero, nonché il disprezzo per la viltà e la mediocrità:
  1. Sempre i codardi, e l'alme
  2. ingenerose, abbiette
  3. ebbi in dispregio.
Questo poeta non mortifica l'esperienza ma, anzi, l'esalta contro i bempensanti:
  1. A scherzo
  2. ho gli umani giudizi; e il vario volgo
  3. a' bei pensieri infesto,
  4. e degno tuo disprezzator,
  5. calpesto;
  6. le sensazioni:
  7. maggior mi sento;
  8. gioia celeste che da te mi viene!;
  9. cresce quel gran diletto,
  10. cresce quel gran delirio, ond'io respiro;
e il vigore morale che provengono dall'amore.
Amore e morte (1832) «il piacer maggiore» (l'amore) che nasce dalla tensione dell'essere nel suo compimento è annullato dalla morte per il rapporto dei moti della materia universale (nascita e morti perenni che sono le forme dello svolgimento della vita). Amore e morte sono due aspetti della vita cosmica e Leopardi esalta il sentimento di amore che, scatenandosi conte fulmine e facendo presentire un mondo tempestoso, induce il desiderio della morte. La morte che annulla il dolore della tensione è conforto di chi conosce il proprio vero bene e il poeta compiange sia la «codarda gente» che ne ha paura sia i saggi e i superficiali che non comprendono il sentimento tragico che lega amore e morte. Anche questo canto che illumina i modi di essere e di sentire dell'uomo è una ripresa dei temi eroici della prima giovinezza, il mondo delle sensazioni e il motivo del piacere vi sono presenti quasi didascalicamente (come Il pensiero dominante è un esame poetico della potenza morale che possono acquistare le sensazioni degli uomini) ma potenziati nel grande valore che è assegnato all'uomo. Da compiangere è l'uomo né bisogna creargli illusioni di fronte alla morte («vana speranza», «conforto stolto») ma in questa sorte ingiusta all'uomo restano il coraggio virile e la protesta e Leopardi insegna che dalla conoscenza (che ha «ogni saggio core») del legame e dell'essenza (base materiale) di amore-morte si può giungere a guardare il fato (di cui la morte è strumento) da accusatori, senza accettarne la decisione, contrastandola, affermando se stessi con la negazione di ciò che ingiustamente sovrasta (questo atteggiamento è ribadito nello stesso anno nel Dialogo di Tristano e di un amico: «io non mi sottometto alla mia infelicità, né piego il capo al destino, o vengo seco a patti, come fanno gli altri uomini»). La protesta presenta un Leopardi quasi proteso verso l'azione (a cui poco è disposta «l'umana prole» sapiente «in pensiero invan»), che lotta contro i comportamenti, che chiama a raccolta i «fervidi, felici», «animosi ingegni» che credono nel sentimento, che sovrasta tutti nell'indicare le vie della consapevolezza. L'energia dell'uomo persuaso è anche in A se stesso (1833) che rigetta i disvalori della vita e, soprattutto, la natura, potere nascosto che «a comun danno impera».
Questo canto antidillico, dal ritmo spezzato, privo di rimpianti, documenta anche la poetica leopardiana di quegli anni in cui il pessimismo è così radicale che ogni occasione riconduce ad esso il poeta. In Sopra un basso rilievo antico sepolcrale (1835) della natura («che per uccider partorisci e nutri») sono sottolineate la crudeltà e l'indifferenza:
  1. ai mali unico schermo
  2. la morte; e questa inevitabil segno,
  3. questa, immutata legge
  4. ponesti all'uman corso;

  5. [...]
  6. Ma da natura
  7. altro negli atti suoi
  8. che nostro male o nostro ben si cura,
dato che la vita della natura è il mutare (vita-morte-vita) delle forme create dalla natura stessa.
E in Sopra il ritratto di bella donna (1835) la pietà per gli uomini del componimento precedente —
  1. Come, ahi come, o natura, il cor ti soffre
  2. di strappar dalle braccia
  3. all'amico l'amico […]
  4. e l'uno estinto,
  5. l'altro in vita serbar?
— diviene compianto per la trasformazione del corpo —
  1. … or fango
  2. ed ossa sei […]
  3. Così riduce il fato
  4. qual sembianza tra noi parve più viva
  5. immagine del ciel
— con l'insistenza sul mutarsi della materia —
  1. Oggi […]
  2. beltà grandeggia […]
  3. Diman, per lieve forza,
  4. sozzo a vedere, abominoso, abbietto
  5. divieti quel che fu dianzi
  6. quasi angelico aspetto
— e sull'interrogativo tragico: se l'uomo è anche forma spirituale perché i più alti pensieri diventano nulla per il mutare della materia? Nel largo ventaglio di toni per mezzo dei quali Leopardi si confronta con gli altri non manca il tono satirico della Palinodia al marchese Gino Capponi (1835) in cui il poeta finge di accettare («Errai, candido Gino») le critiche degli spiritualisti ottimisti al suo pensiero pessimistico.
Leopardi satireggia con modi pariniani i gazzettieri rammolliti nelle chiacchiere dei caffè e al loro progressismo (vantatore di vie ferrate, commerci, chimica, macchine) oppone lo svilupparsi del colera, le guerre per il possesso di pepe, cannella e canna da zucchero, il predominio della ricca borghesia che corromperà mercati e abitudini creando nuove esigenze di prodotti raffinati e un numero infinito di oggetti di ornamento («tappeti e coltri, seggiole, canapè, sgabelli e mense, — letti, ed ogni altro arnese, adorneranno…»), nuove scienze inutili (la statistica). Mai poiché dolore e infelicità dei viventi sono ineliminabili Leopardi scopre le auto-illusioni degli pseudo progressisti i quali tentano di sfuggire alla realtà che è una sola: fragilità dell'uomo «a perir fatto | irreparabilmente» per opera di «una forza | osti!, distruggitrice»; la natura che
  1. distruggendo e fermando si trastulla;
  2. e l'affatica e stanca,
  3. essa indefatigata; insin ch'ei giace
  4. alfin dall'empia madre oppresso e spento.
Questo dato della «legge universal» non può essere emendato dalle illusioni della «nonadecima età» e il poeta sorride del consiglio datogli da un maestro di poesia e correttore di tutte le menti e amico di Gino (il Tommaseo), di seguire le scienze economiche e di affidarsi alle nuove speranze:
  1. Sonava il nome
  2. della speranza al mio profano orecchio
  3. quasi comica voce.
Il motivo della fallacia della speranza, qui polemicamente combattuto, ritorna liricamente in Il tramonto della luna (1837) in cui sono ribaditi i mali, la vecchiaia, la morte che la natura ha crudelmente assegnato agli uomini:
  1. … alla notte
  2. che l'altre etadi oscura,
  3. segno poser gli nei la sepoltura.
Nella Ginestra (1836) Leopardi fonde in un canto democratico, laico, privo di aristocraticismo solitario, tutti i motivi più alti del suo pensiero e della sua poesia: la fragilità dell'uomo di fronte alla nemica natura, la polemica contro il «secol superbo e sciocco» che ha abbandonato il pensiero rinascimentale — illuministico e che si vanta di avere sostituito la ragione con le tenebre medievali:
  1. volti addietro i passi,
  2. del ritornar ti vanti,
  3. e procedere il chiami;
il disprezzo contro il secolo XIX che segna la libertà e vuole incatenare quel pensiero
  1. sol per cui risorgemmo
  2. della barbarie in parte, e per cui solo
  3. si cresce in civiltà;
l'avversione alla cultura delle anime belle che nascondono il vero, il basso grado che la natura ha assegnato all'uomo nell'universo,
  1. il tergo
  2. vigliaccamente rivolgesti al lume
  3. che il fè palese
e inventano umanesimi e vanti «d'eternità».
Contro i falsi spiritualisti che si nobilitano con la paura della menzogna Leopardi esalta gli uomini che guardano in faccia la realtà della natura che «… de' mortali | madre è di parto e di voler matrigna» e invita tutti a riunirsi «contro l'empia natura» distruggitrice di ogni opera umana:
  1. Non ha natura al seme
  2. dell'uomo più stima o cura
  3. che alla formica.
La natura è onnipotente e invincibile ed è stolto ritenere che le «frali stirpi» umane possano essere immortali ma la luce della ragione può sanare le menti inferme, riunire gli uomini in una solidarietà democratica che ponga termine alle guerre, crei «verace saper» unito a «giustizia e pietade e il coraggio di opporsi alla insuperabile nemica.
Questo punto di arrivo del pensiero e dell'arte di Leopardi non è il canto disperato di un infelice, di un solitario. Questi attributi si possono certamente riferire anche al Leopardi degli ultimi anni (il Platen che lo visitò nel 1834 disse che egli aveva «qualche cosa di assolutamente orribile» nel fisico che, però, scompariva quando, conoscendolo, si potevano apprezzare «la finezza dell'educazione classica» e la «cordialità del suo fare») ma costituiscono, invece, gli attributi che Leopardi assegnava oggettivamente alla condizione degli uomini e sono ribaditi nei Paraliponemi alla Batracomiomachia intorno ai quali egli lavorava in quell'anno. Nei Paralipomeni (poemetto in otto canti in ottave in cui descrive i moti del '21 e deride i legittimisti, gli austriaci che li proteggono, i falsi eroi patrioti) il punto di arrivo ideologico di Leopardi è ribadito con la lucida rivalutazione del materialismo del Settecento, con l'avversione a ogni assolutismo, con la polemica contro i moderati cattolici i quali arretrano di fronte «alle conseguenze pessimistiche dell'analisi del rapporto uomo-natura intrapresa dal materialismo settecentesco» (Timpanaro):
  1. l'età nostra arretrossi appena avvista
  2. di ciò che più le spiace e che più monta,
  3. esser quella in sostanza amara e trista
(arretrò appena si avvide che l'illuminismo forniva una verità amara e pessimistica, il materialismo, ma non forniva la felicità).
La consapevolezza lucida e dolorosa di Leopardi è sottesa, pur tra momenti di minore tensione e di affidamento a immagini di bellezza, in tutto l'itinerario mentale e psicologico dello scrittore: dalle 4526 pagine dello Zibaldone (1817-32) pubblicato nel 1898, diario privato e grande enciclopedia della cultura originalissima di Leopardi, alle Operette morali, ai centoundici Pensieri, all'Epistolario ricco di affetto tenerissimo verso familiari ed amici, ai Canti, il maggiore documento lirico ottocentesco della reazione alla crisi dell'illuminismo e dell'affermazione del valore della ragione.