Capitolo 16: Il classicismo illuministico e Giacomo Leopardi
Paragrafo 4: La filosofia delle «Operette morali»
i filosofi e i poeti-filosofi della Grecia antica sono ricordati nelle Operette per mettere in risalto non la differenza ma la sostanziale identità della condizione umana nell'evo antico e nel moderno» (Timpanaro). La Storia del genere umano è una storia di infelicità («
ciascheduno odierà tutti gli altri, amando solo, di tutto il suo genere, se medesimo» e gli uomini diventano «
non meno vili che miseri» e incapaci di rifiutare la vita infelice); nel Dialogo d'Ercole e d'Atlante la terra è diventata leggera e inerte per l'inerzia degli uomini («al tempo mio combattevano a corpo a corpo coi leoni e adesso colle pulci»); nel Dialogo di Malambruno e Farfarello Leopardi denuda al massimo la teoria del piacere: l'amore di se stesso, che è amore di felicità massima, non potendo essere soddisfatto, genera l'infelicità la quale «non può cessare per spazio, non che altro, di un solo istante» (sicché «il non vivere è sempre meglio del vivere»); il Dialogo della Natura e di un'anima è un corollario del precedente: il tema è quello della maggiore infelicità delle anime grandi e un'anima destinata a essere «grande e infelice» («Tutto questo è contenuto nell'ordine primigenio e perpetuo delle cose create» appunto perché la maggiore «intensione» della vita genera maggior dolore) chiede alla Natura di accelerarle, invece, «la morte il più che si possa»; le ferree leggi della Natura-materia coinvolgono anche l'uomo nel Dialogo della Natura ed un Islandese in cui la Natura («forma smisurata di donna seduta in terra, col busto ritto, appoggiato il dosso e il gomito a una montagna; e non finta ma viva; di volto mezzo tra bello e terribile, di occhi e di capelli nerissimi») disinganna l'uomo dicendogli che tutte le forme di vita sono soggette a leggi di
produzione e distruzione, collegate ambedue tra sé di maniera, che ciascheduna serve continuamente all'altra, ed alla conservazione del mondo; il qual sempre che cessasse l'una o l'altra di loro, verrebbe parimente in dissoluzione
se anche mi avvenisse di estinguere tutta la vostra specie, io non me ne avvedrei» che mentre l'islandese parla con lei due leoni affamati mangiandosi l'uomo danno dimostrazione delle leggi della Natura): nel Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie sulla base del sensismo Leopardi afferma che, essendo piacere la cessazione di un dolore, la morte non può non essere un piacere; scende in se stesso Leopardi nel Dialogo di Timandro ed Eleandro in cui Eleandro-Leopardi, dopo aver costretto Timandro ad ammettere la verità delle ragioni intorno all'infelicità degli uomini, rivendica a sé il coraggio di dire la verità, il «misero e freddo vero», e si dimostra scettico sulla perfettibilità degli uomini.
hanno scartato per sempre ogni ricorso a quelle speranze e a quei poteri (natura e provvidenza) e hanno riconosciuto nella loro crudele potenza il primo loro nemico e il primo fondamento polemico della loro unità nella lotta e nella protesta» (Binni). Il Dialogo di Tristano e di un amico è una sorta di testamento anzitutto intellettuale e morale di Leopardi, di documento dell'eroismo virile dell'uomo che non si aspetta nulla da persona o cosa e si oppone al destino che lo condanna (e non per sofferenze personali) all'infelicità. Nello stesso anno in cui componeva questo dialogo Leopardi rispondeva in una lettera al De Sinner alla critica (di tedeschi) che attribuiva il pessimismo delle Operette alle infermità dell'autore («ci si ostina ad attribuire alle mie condizioni materiali ciò che si deve solo al mio impegno intellettuale»). Nel dialogo Tristano-Leopardi rifiuta le illusioni con cui i non ragionanti si consolano del mali ma rifiuta soprattutto la pedagogia dell'illuminismo spiritualistico che induce a «vivere di credenze false, così gagliarde e ferme, come se fossero le più vere e le più fondate del mondo» («rifiuto ogni consolazione e ogn'inganno puerile, ed ho il coraggio di sostenere la privazione di ogni speranza, mirare intrepidamente il deserto della vita, non dissimularsi nessuna parte dell'infelicità umana, ed accettare tutte le conseguenze di una filosofia dolorosa, ma vera»). Basilari elementi del pessimismo radicale di Tristano sono il pessimismo degli antichi (a cui il «secolo decimonono» oppone la sua falsa «felicità della vita») e la debolezza della macchina fisica e biologica dell'uomo (
E il corpo è l'uomo […] tutto ciò che fa nobile e viva la vita, dipende dal vigore del corso, e senza quello non ha luogo. Uno che sia debole di corpo, non è uomo, ma bambino; anzi peggio; perché la sua sorte è di stare a vedere gli altri che vivono, ed esso al più chiacchierare, ma la vita non è per lui. E però anticamente la debolezza del corpo fu ignominiosa, anche nei secoli più civili).
Questo di Leopardi era il più netto antagonismo del tempo all'ideologia della borghesia moderata che cercava di conciliare tradizione e progresso; Leopardi afferma, invece, che la vera cultura con la quale occorre fare i conti è quella dell'illuminismo — il sensismo e il materialismo —, che dinanzi ai problemi scoperti dagli illuministi è inutile chiudere gli occhi proponendo spiritualistici trionfi mentre «io non mi sottometto alla mia infelicità, né piego il capo al destino, e vengo seco a patti, come fanno gli altri uomini […] Invidio i morti […] Né in questo desiderio la ricordanza dei sogni della prima età, e il pensiero d'esser vissuto invano, mi turbano più, come solevano. Se ottengo la morte morrò così tranquillo e così contento, come se mai null'altro avessi sperato né desiderato al mondo.
il corpo è l'uomo», miserabile e caduco per «
forza» di una natura contro la quale è necessario unirsi nella lotta.
Antonio Piromalli, Storia della letteratura italiana, Cap. 16, Par. 4 , http://www.storiadellaletteratura.it/main.php?cap=16&par=16
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