Capitolo 16: Il classicismo illuministico e Giacomo Leopardi
Paragrafo 2: Vita e cultura di Giacomo Leopardi
Precettori non ebbe — dirà Giacomo di sé nel 1826 a Carlo Popoli — se non per li primi rudimenti che apprese da pedagoghi […] In quella biblioteca passò la maggior parte della sua vita, finché e quanto gli fu permesso dalla salute, distrutta dai suoi studi […] Appresa, senza maestro, la lingua greca, si diede seriamente agli studi filologici, e vi perseverò per sette anni; finché, rovinatasi la vista, e obbligato a passare un anno intero senza leggere (1819) si volse a pensare, e si affezionò naturalmente alla filosofia; alla quale, ed alla bella letteratura che le è congiunta, ha poi quasi esclusivamente atteso fino al presente.
i filosofi spiritualistici, precursori del cristianesimo (Socrate, Platone, Aristotele inteso nel senso della Scolastica), dai materialisti (Democrito, Epicuro, Lucrezio) precursori dell'empia filosofia del secolo decimottavo» (così Sebastiano Timpanaro al quale si devono l'inquadramento di Leopardi nel classicismo progressivo, gli studi su Giordani e le ricerche relative). Agli studi di filosofia e alla composizione di due tragedie (La virtù indiana e Pompeo in Egitto) seguono gli anni (1811-17) di studio filologico ed erudito «
matto e disperatissimo» nella biblioteca paterna (traduzioni, commenti, dissertazioni su scrittori della decadenza greca e romana) durante ì quali compone anche due opere, Storia della Astronomia dalla sua origine fino all'anno 1811 (1813) e il Saggio sopra gli errori popolari degli antichi (scritto in due mesi nel 1815). «
Quasi senza avvedersene» passa al culto delle «lettere belle», della poesia, del valore estetico, prediligendo in un primo tempo uno stile arcaico e puristico artificioso. La «conversione» letteraria del 1816 (anno in cui scrive Le rimembranze, compone l'Inno a Nettuno che finge tradotto dal greco di un vecchio codice) fu rafforzata dagli scritti di Pietro Giordani apparsi in quell'anno stesso sulla Biblioteca italiana in seguito all'articolo della Staël Sulla maniera e l'utilità delle traduzioni. Ma la conversione letteraria fu a poco a poco un problema che toccò tutta la personalità di Leopardi come tentativo di trovare la pienezza vitale, la totalità contrastata dalla separatezza intellettuale e sentimentale a cui era stato costretto dalla famiglia. Essa è un aspetto della presa di coscienza, da parte di Leopardi, del proprio stato, di conoscenza della realtà che lo circondava. Il dolore è, anzitutto, strumento di conoscenza e di approfondimento dei rapporti privati, familiari, sociali, rimozione di pesi e inibizioni; la malattia mette Leopardi in diretto rapporto con la fragile macchina biologica e fisiologica umana, gli fa comprendere l'innaturalità della propria vita e cercare un compenso all'infelicità nella natura primitiva e semplice, nello stato in cui si trovavano gli antichi. Costoro non avevano avuto bisogno di modelli perché in essi immaginazione e pensiero si svolgevano naturalmente mentre i moderni, sostiene Leopardi nella Lettera ai compilatori della «Biblioteca italiana»; (del 18 luglio 1816, ma che la rivista non pubblicò), non riescono a fare a meno dei modelli sicché «quasi tutti gli scritti nostri sono copie di altre copie, ed ecco perché sì pochi sono gli scrittori originali». In questa lettera Leopardi è vicino ai classicisti in quanto vede la letteratura italiana affine alla greca e alla latina ma è contrario all'imitazione (sostenuta di classicisti). L'antitesi natura-ragione gli fa vedere vicino alla natura il mondo antico (eroico, pratico, animato da grandi sentimenti nascenti dal repubblicanesimo laico) e dominato, invece, dalla filosofia, dal razionalismo, dall'ascetismo il mondo moderno. Il grande male è consistito nell'allontanamento dell'uomo dalla natura per mezzo della filosofia: alla virtù, passione magnanima, la filosofia ha contrapposto l'incivilimento distruttore. Tuttavia la filosofia antica non è per Leopardi rovinosa come la moderna: in essa il parziale razionalismo consente la presenza di fantasia e sentimento. Ma qualche anno più tardi Leopardi scoprirà il pessimismo anche nell'antichità che non gli sembrerà più l'età dell'eroismo e della virtù. Nel febbraio del 1817 ha inizio la corrispondenza di Leopardi con Pietro Giordani il quale aveva ricevuto, come Vincenzo Monti e Angelo Mai, la traduzione del secondo libro dell'Eneide compiuta dal giovane. A Giordani — che nel settembre del 1818 soggiornerà cinque giorni a Recanati — Leopardi apre il proprio animo, per la fiducia che gli ispirano la mente e la coscienza del classicista piacentino. Nella prima sua vera lettera (30 aprile 1817) Leopardi, deformato nel fisico dall'anno precedente, esprime la propria condizione e il proprio disagio di dover vivere a Recanati (che chiama «
tana», «
caverna» e altre volte «
sepolcro di vivi», «
Tartaro», «
soggiorno disumano»} dove «
tutto è morte, tutto è insensataggine e stupidità», dove
In altra lettera dello stesso anno comunica a Giordani lo stato di costretta solitudine al quale è ridotta, la storia di un'anima, come è stata chiamata, e che è storia soprattutto di un pensiero che dal blocco gesuitico-monaldesco della cultura apologetica cattolica e dall'ideologia legittimistico-restauratrice (in seguito alla sconfitta di Murat a Tolentino Leopardi aveva scritto una Orazione, nel 1815, esortando gli Italiani a respingere gli inganni della libertà e dell'unità) arriva a ripudiare il cristianesimo, a opporsi al romanticismo irrazionale, ad aprirsi al sentimento di patria. Nel 1817 comincia a segnare le sue riflessioni e letture nello Zibaldone. L'anno seguente compone il Discorso di un italiano intorno alla poesia romantica che doveva essere una risposta a Di Breme e che Leopardi non pubblicò mai (vedrà la luce nel 1906). All'idealismo e allo spiritualismo dei romantici Leopardi oppone il sensismo anche come poetica, come sensorialità di immagini e di parole, come suscitatore di diletto nella poesia. Purismo per Leopardi voleva dire ritorno alla natura alla quale l'età più vicina era quella degli antichi sicché non i classicisti che all'autenticità originaria della natura si ispiravano ma i romantici esaltatori dell'incivilimento portato dalla ragione sono gli imitatori, i pedanti moderni perduti dietro stravaganze. I classicisti non dovevano imitare gli antichi ma ispirarsi al sentimento vitale, patetico, quello che dalla natura promana. Leopardi al pari dei romantici condannava le regole, i canoni letterari ma faceva derivare dalla natura — con una tinta rousseauiana — la caratteristica del sentimentalismo resecando, però, ogni spiritualismo.unico divertimento è lo studio: unico divertimento è quello che mi ammazza: tutto il resto è noia […] Non m'è possibile rimediare a questo né fare che la mia salute debolissima non si rovini, senza uscire di un luogo che ha dato origine al mal e lo fomenta e l'accresce ogni dì più.
La mutazione totale in me, e il passaggio dallo stato antico al moderno, — scrive nel 1820 nello Zibaldone — seguì si può dire dentro un anno, cioè nel 1819, dove, privato dell'uso della vista e della continua distrazione della lettura, cominciai a sentire la mia infelicità in un modo assai più tenebroso, cominciai ad abbandonar la speranza, a riflettere profondamente sopra le cose […] a divenir filosofo di professione (di poeta ch'io era).
fui scoperto e impedito, non dalla forza che non valeva, ma con le preghiere»). In una lettera al padre sottolineava la mancanza di libertà, la «
differenza di principi, che non era in verun modo appianabile», il desiderio di liberare il padre «
dal continuo fastidio della sua presenza», l'annullamento che di lui e delle sue inclinazioni avevano fatto il padre e la famiglia che non si erano presa alcuna cura della sua persona e del suo avvenire, del suo valore riconosciuto da «
uomini stimabili e famosi».
filologo ammirato fuori d'Italia — scrittore di filosofia e di poesie altissimo — da paragonare solamente coi Greci» scrisse per lui Pietro Giordani sulla lapide della chiesa di S. Vitale a Fuorigrotta di Napoli.
1 Giacomo Leopardi
Polemiche e incomprensione accompagnarono nel primo Ottocento l'attività letteraria di GIACOMO LEOPARDI: mentre gli esponenti della tendenza cattolico-moderata, pur apprezzando la perfezione dello stile, svalutavano l'impostazione pessimistica del pensiero (Capponi, Cantù — che parlava di «lugubre filosofia» e di «vita senza scopo» —,Tommaseo etc.), Mazzini sottolineava l'impossibilità di una utilizzazione della produzione leopardiana a fini di propaganda politica.
Una ininterrotta attenzione alla personalità e alla poesia del Recanatese (culminante nelle lezioni del corso napoletano del 1876) dedicò De Sanctis, che delineò una linea di svolgimento della poesia leopardiana di cui vide il nucleo centrale nel contrasto tra intelletto e cuore, tra convinzione pessimistica e aspirazione alle gioie e illusioni della vita.
Nell'età positivistica gli studi furono in genere di carattere biografico e filologico e contribuirono, soprattutto in seguito alla pubblicazione dello Zibaldone (curata da una commissione di filologi presieduta da Carducci), ad approfondire la conoscenza del pensiero leopardiano.
Nel primo Novecento, invece, mentre la rivista «La Ronda» proponeva sul piano stilistico il modello della prosa leopardiana determinandone una deformazione di gusto calligrafico ed estetizzante, Croce esaltava il momento idillico di Leopardi ma ne svalutava il substrato filosofico, le «frigidissime» Operette e, in genere, tutta la restante produzione in quanto effetto di «ingorgo sentimentale» e di «vita strozzata».
Gli studi successivi hanno provveduto a correggere l'interpretazione crociana, mirando sia all'individuazione dello stretto legame esistente in Leopardi fra pensiero e poesia e alla storicizzazione interna dei vari momenti della sua produzione letteraria (fondamentale a questo proposito l'indicazione di Binni su un Leopardi eroico e combattivo, contrapposto a quello idillico), sia a una più precisa collocazione storica e culturale del suo pensiero (Luporini ha parlato di «delusione storica» in relazione alla Rivoluzione francese e alla Restaurazione, Timpanaro ha sottolineato il fondamento materialistico e illuministico del pensiero leopardiano etc.).
Antonio Piromalli, Storia della letteratura italiana, Cap. 16, Par. 2 , http://www.storiadellaletteratura.it/main.php?cap=16&par=16
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