Capitolo 15: Il Romanticismo e Alessandro Manzoni
Paragrafo 4: Il teatro romantico. Il melodramma di Verdi


I modi goldoniani continuano ad avere fortuna nelle commedie dell'età romantica con il romano Giuseppe Giraud (1775-1834) autore di Il gentiluomo per transazione in cui il vigoroso temperamento dello scrittore satireggia il moralismo borghese. Altri autori risentono degli influssi francesi di Beaumarchais. Il teatro tragico in Inghilterra, Germania, Francia risentì della sensibilità romantica e ne fu rinnovato con Goethe, Schiller, Shelley, Hugo, De Vigny mentre in Italia il teatro di Silvio Pellico cade nel patetico con la Francesca da Rimini (1815), che pure ebbe divulgazione popolare per l'argomento, con Eufemio da Messina, Ester d'Engaddi e il teatro del cremonese Carlo Tedaldi-Fores sprofonda nel medioevo artefatto con la Narcisa. Classicista fiacco ma non retrogrado, civilmente impegnato, fu Giovan Battista Niccolini1 (1782-1861) di Bagni S. Giuliano che visse a Firenze come aggregato all'archivio delle Riformagioni e poi professore di mitologia e storia all'Istituto di belle arti. Per il suo anticlericalismo civile (ma, per questo, antidispotico e antiteocratico) Niccolini venne più tardi considerato estraneo alla religiosità romantica, nuova fede del secolo XIX, ma se il trageda scrisse le sue prime opere sullo stampo classico (Polissena, Ino e Temisto, Edipo, Agamennone, Medea) più tardi si avvicinò al romanticismo con l'Arnaldo da Brescia (1843), opera di polemica contro il potere temporale dei papi e contro l'assolutismo politico straniero.
Qualsiasi attività teatrale nell'età romantica è soverchiata dal teatro d'opera o opera lirica che in Italia ebbe una immensa fortuna popolare in quanto espressione di passioni drammatiche ed elementari. Uno dei motivi della democrazia delle forme d'arti musicali è certamente la capacità della musica di interpretare sentimenti che riescono inadeguati con altra forma di espressione. Il melodramma romantico con Gioacchino Rossini (1792-1868), Gaetano Donizetti (1797-1848), Vincenzo Bellini (1801-35) esprime le condizioni di vita italiane del tempo e le aspirazioni nazionali sostituendo, soprattutto con Giuseppe Verdi (1813-1901), la realtà della storia, della società, degli individui moderni all'interesse popolare che le passioni dei tragici greci (amore paterno, vendetta, fato inesorabile etc.) avevano suscitato in tutta Europa.
Verdi, musicista di origine contadina e genio romantico, sintetizza lo stato drammatico-sentimentale della cultura borghese e popolare, per la prima volta unitaria. Nella sua musica per la prima volta si riconosceva un popolo nella sua abbozzata etnia di sentimenti naturali, semplici, inostacolabili perché dilatabili in una nuova espressione, più di quanto non potessero fare la lirica, il romanzo, îl teatro. Dal melodramma scendeva nel popolo disperso che non aveva nome la parola essenziale ed elementare, essa diventava voce o reintrepretava voci rimaste inespresse. Anche se i libretti non hanno valore letterario nella sintesi con la musica esprimono in simboli storici (Nabucco, 1842; Battaglia di Legnano), in figure di fuorilegge (Trovatore, 1853), in vittime della nobiltà (Rigoletto, 1851; Traviata, 1853), in persone semplici la realtà umana di chi cerca liberazione e identificazione. In Verdi il genio musicale popolare si unificava con le aspirazioni popolari in quel determinato momento e in quella particolare forma d'arte in cui il popolo intuiva una libertà senza compromessi. Il melodramma dalla camera e dalla sala entrava nel cuore delle persone umane che Verdi comprendeva nei fondamentali bisogni («la miseria delle classi povere è grande, grandissima. […] Se io fossi governo, — scriverà nel 1881 — non penserei tanto al partito. […] penserei al pane da mangiare»). Più tardi Verdi comporrà le sue opere sui libretti fornitigli da Arrigo Boito.