Capitolo 15: Il Romanticismo e Alessandro Manzoni
Paragrafo 7: Manzoni: sfiducia nell'uomo nelle opere minori


Nei paragrafi precedenti abbiamo indicato che il romanticismo italiano è un movimento legato alla realtà politica e che i suoi rappresentanti borghesi non hanno dimenticato, a Milano e in Lombardia, l'esperienza illuministica di Beccaria e Verri. Anzi i gruppi borghesi, cercando di collegarsi con il problema nazionale per la propria affermazione politico-economica, sono favorevoli alla cultura moderna, alla letteratura popolare, rifiutano il classicismo tradizionale in quanto vetusto e falso (la mitologia e i simboli di una religione falsa), le forme letterarie auliche. Tuttavia il quadro di un'Europa restaurata nei suoi governi assoluti impone alla cultura borghese il ripiegamento dal materialismo a una religiosità non retriva (se non eccezionalmente) ma che, anche quando ha motivazioni democratiche, finisce con l'essere pessimista intorno alla società e civiltà umana (compresa quella borghese). Per esigenze del loro futuro sviluppo e per paura della rivoluzione quei gruppi borghesi sono antigiacobini; se i gruppi sono neo-cattolici il loro moderatismo risucchia la socialità laica e ribadisce la funzione politica subalterna del popolo, come abbiamo visto a proposito dell'educazione popolare.
Abbiamo indicato implicitamente con questa premessa la situazione e gli specifici limiti ideologici cattolici di Manzoni nel quadro della Restaurazione nel quale egli è lo scrittore più moderno e democratico. Alessandro Manzoni1 (1785-1873) nacque a Milano da Giulia Beccaria e fu educato in collegi di padri Somaschi a Merate e Lugano, di barnabiti a Milano ricevendo un'educazione classica. Dopo la morte di Carlo Imbonati (1805) che conviveva con Giulia Beccaria, Manzoni segui la madre a Parigi e conobbe ideologi, storici, letterati quali Cabanis, De Tracy, Fauriel. Nel 1810 sposò Enrichetta Blondel, di famiglia ginevrina, calvinista convertitasi al cattolicesimo. Anche Manzoni, dopo meditazioni, letture di Bossuet, Pascal, Massillon, conversazioni con l'abate Degola, ritornò nello stesso anno alla religione cattolica come sistema che sta sopra ogni scienza e morale laica. La stagione creativa di Manzoni (1815-25) lo vede interprete singolare delle dottrine romantiche. Dopo la morte di Enrichetta (1833) fu importante per Manzoni l'amicizia di Antonio Rosmini. Nel 1861 gli mori la seconda moglie Teresa Borri Stampa e, nominato senatore, partecipò alla seduta in cui fu proclamato il Regno d'Italia. Interprete della società e della cultura della Restaurazione Manzoni non ritrovò l'organicità creativa e quasi tutti gli scritti successivi al fecondo decennio che vede la conclusione dei Promessi sposi hanno rigidità e astrattezze.
Una «visione» montiana, Il trionfo della libertà (1800), un poemetto, L'Adda e, più importante, il Carme in morte di Carlo Imbonati (1805) sono i principali scritti di Manzoni ancora seguace del neoclassicismo, influenzato da Parini, Alfieri, Foscolo, Gessner e credente nell'illuminismo. Il Carme è stretto intorno a una severa moralità
  1. […] Di poco esser contento: da la meta mai
  2. non torcer gli occhi: conservar la mano
  3. pura e la mente […]
  4. Non far tregua coi vili: il Santo Vero
  5. mai non tradir: né proferir mai verbo
  6. che plauda il vizio, o la virtù derida
che rimane salda anche quando il poeta ritorna alla fede e la sua arte trova espressione nel romanticismo moderato.
La fede cristiana per Manzoni sopravanza ogni valore laico e mondano, la storia, l'operare degli uomini. Il Dio manzoniano è potenza tremenda, biblica, di fronte ad esso tutto è silenzio e tenebre sulla terra. L'imperscrutabilità divina non è accessibile neanche quando agisce come Provvidenza: ignoto è il ritmo della provvidenzialità nei suoi interventi nella vita degli uomini. Nessun bene può nascere dalle radici malate dell'uomo il quale non può, da solo, attuare la giustizia: «far torto o patirlo» è il destino inesorabile che il giudizio divino emenderà. Dio lenisce soltanto, come Spirito rianimatore, le creature umane. Inutile è l'arte che non rappresenti il dramma della vita dell'uomo e che non indaghi nel cuore umano, sugli affetti semplici e umili che esso contiene, sulle tempeste del sentimento che nascono dagli errori. La realtà dell'arte romantica è cristiana quando ha come materia i misteri della fede e la lotta dell'umanità per l'affermazione dei valori cristiani.
Gli Inni Sacri (Il Natale, 1813; La Passione, 1815; La Resurrezione, 1812; Il nome di Maria, 1813; La Pentecoste, 1817-22), che avrebbero dovuto essere dodici, sono le prime testimonianze del rinnovamento religioso e artistico di Manzoni. La tradizione religiosa è fittamente presente con il ricordo di testi e di idee e ciascun inno celebra prima la festività della chiesa e commenta poi la religiosità. La Pentecoste è giustamente considerata come l'inno di maggiore respiro lirico e umano, come preghiera di un'umanità riscattata dal cristianesimo. Ma il conflitto manzoniano tra la sfiducia nell'uomo e la fede nella Provvidenza, tra spiriti democratici e moderazione, qui evidente, rimarrà sempre nell'ideologia dello scrittore; gli uomini sono eguali di fronte a Dio, non sulla terra: la schiava continua a generare figli schiavi e «cui fu donato in copia» (discutibilissimo il dono che già Parini chiamava rapina) continua ad accumulare profitti. Manzoni raggiunge in questo celebratissimo inno un equilibrio tenero (di pargoli, bamboli, donzelle, vergini, canizie, franchigie, mercede) fra cattolicesimo tradizionale e spirito moderno ma la nuova pace interiore non consente altra correzione al «violento» che la «pietà» nata da «sgomento», altro cambiamento al povero che il valore della povertà. Con quest'inno, notevole per la tagliente rapidità nello scorciare, per la solennità nell'esaltare, per l'imposizione nel persuadere, Manzoni è sulla linea del moderato neocattolicesimo del tempo suo.
Non c'è dubbio che questo pericoloso e ambiguo equilibrio fosse interiormente sofferto da Manzoni, ma è pur vero che il pessimismo finale rimanda sempre alla rassegnazione religiosa. Questo pessimismo intorno alla possibilità dell'uomo e della storia umana di attuare la giustizia è profondo nella tragedie Il Conte di Carmagnola (1816-20) e Adelchi (1820-22). In questi anni Manzoni è impegnato nelle meditazioni sulla storia e sull'estetica e compone le Osservazioni sulla morale cattolica (1819, riprese più tardi, nel 1855) per rispondere a Sismondi il quale nella Storia delle repubbliche italiane del Medioevo aveva accusato la chiesa della decadenza politica e morale italiana. Le Osservazioni contengono il nucleo ideologico apologetico della religione cattolica e della sua eccellenza su qualsiasi morale diversa che troveremo da ora in poi alla radice di tutte le opere d'arte di Manzoni nonché l'identificazione della morale con la dottrina del cattolicesimo. Le idee espresse nel Discorso sopra alcuni punti della storia longobardica in Italia premesso all'Adelchi costituiscono la base della visione storica di Manzoni:

Un'immensa moltitudine d'uomini, una serie di generazioni, che passa sulla terra, sulla sua terra, inosservata, senza lasciarvi traccia, è un tristo ma importante fenomeno; e le cagioni di un tale silenzio possono riuscire ancor più istruttive che molte scoperte di fatto.

La storiografia degli oppressi, dei popoli soggetti diventava un suggestivo elemento romantico per scrutare il passato della nazione, ritrovarvi un'effigie cristiana, riproporre una nuova tragedia romantica, che fondesse la storia con i sentimenti degli uomini; «le loro decisioni e i loro progetti, i loro successi e i loro insuccessi». Le tragedie storiche di Manzoni si fermano sul destino dei popoli e degli uomini, condannano la tirannide, la ragione di Stato, la regalità, la violenza, gli odi fra le nazioni. In tal modo la poetica tragica unisce il vero della storia con il sentimento poetico per esaltare cristianamente i vinti secondo il fondamento ideologico delle Osservazioni. Manzoni cristiano si differenziava dalla tragedia classica e da Alfieri, rifiutava le unità di tempo e di luogo come pastoie accademiche, interpretava modernamente gli elementi drammatici di Shakespeare. Le idee sulla poetica tragica furono manifestate da Manzoni in una lettera del 1822 a Chauvet sulle unità di luogo e di tempo nella tragedia. Il Carmagnola narra la vicenda del comandante di ventura Francesco Bussane che, già al soldo dei milanesi; guida quindi i veneziani contro i Visconti di Milano.
Dopo la battaglia di Maclodio (1427) da lui vinta il Carmagnola lascia in libertà i prigionieri milanesi ed è condannato a morte per tradimento dal senato veneziano. I potenti senatori veneziani per ragione politica non comprendono la generosità del Carmagnola che Manzoni vede nel rapido passaggio dal comando alla sventura. L'Adelchi rappresenta la guerra di Carlomagno contro Desiderio, re dei Longobardi, per allontanarlo dalle terre di papa Adriano. La guerra finisce con la vittoria di Carlo, la morte di Adelchi figlio di Desiderio, la morte di Ermengarda sorella di Adelchi e sposa ripudiata di Carlo. In questa tragedia degli anni bui medievali (772-74) i personaggi d'autorità (Carlo, Desiderio, il traditore Svarto, i duchi longobardi) trionfano mentre cadono vinti i generosi Adelchi ed Ermengarda. L'ispirazione morale è pessimistica perché Manzoni vede la storia come una processione di violenze, di sangue, inganni, ambizioni, autoritarismi. Non può esistere azione giusta, la lotta per la giustizia trascina nella sconfitta.
Opra gentile o innocente» non è possibile, solo la «provvida sventura» può salvare l'uomo dal fare il male e consegnandolo alla sola giustizia, quella divina. Questi vinti manzoniani sono desolatamente tristi e sconsolati. Vaghissime per bellezza sono le atmosfere di infelicità che li circondano ma il loro «cupio dissolvi» nella rassegnazione è già una pietra tombale, i loro alti discorsi poetici e lirici (più lirici che drammatici poiché essi non si possono cimentare nell'azione, nel contrasto) sono claustrali o precemeteriali e nella loro profondissima interiorità guardano solo al cielo e a se stessi, non agli altri uomini. Questi afflitti celestiali sono dei grandi esuli che sospirano il ritorno, hanno già nelle loro fibre il male dell'esistenza terrena. C'è, però, nell'Adelchi, nel primo coro, l'indicazione moderata del problema politico del «volgo disperso» da rigenerare. Il problema politico a sé stante non può esistere, è sempre un atto del disegno provvidenziale e nell'ode Marzo 1821 (scritta in previsione del passaggio del Ticino da parte dei piemontesi per aiutare i lombardi e pubblicata nel 1848 dopo le Cinque giornate di Milano) Iddio è garante della legittimità della libertà degli ai quali già gli Austriaci oppressi da Napoleone avevano promesso la libertà. Al di sopra dei popoli e delle loro lotte è «quel Dio» che solo può giudicare e punire («chiuse il rio che inseguiva Israele», armò e «il colpo guidò» della coraggiosa Giaele), evitare che un popolo opprima l'altro. Nella pessimistica filosofia della storia manzoniana rientra anche l'ode Cinque maggio (1821) scritta per la morte di Napoleone e nella quale, dissolta la gloria dell'uomo, la sua azione rimane strumento dell'onnipotenza divina. Anche al Napoleone manzoniane la «provvida sventura» apre i «floridi sentier / della speranza» cancellando ogni altro trionfo rappresentato nella prima parte dell'ode.



1 Alessandro Manzoni
L'ideologia illuministica e i modi neoclassici caratterizzano il tirocinio giovanile (1801-10) di ALESSANDRO MANZONI che, animato da un'ansia di gloria poetica e sulla scorta di modelli, sperimentò in quegli anni diversi generi di componimenti (scrisse, tra l'altro, quattro Sermoni di gusto pariniano, polemici contro la società contemporanea, e il poemetto Urania celebrante la funzione civilizzatrice della poesia).
La conversione al cattolicesimo, che non fu determinata da illuminazione improvvisa ma fu risultato di una graduale e consapevole maturazione (anche se non vi è ragione di non credere all'episodio della chiesa di S. Rocco), coincise con l'accettazione dei dettami della poetica romantica e il conseguente ripudio di una concezione aristocratica della letteratura. La presenza di elementi giansenistici nel cattolicesimo manzoniano e la sopravvivenza di motivi illuministici reinterpretati in chiave cristiana sono alcune delle questioni connesse alla «mutazione» del 1810 su cui si è esercitata la critica.
Mentre gli Inni sacri hanno il loro motivo dominante e unificatore nel tema della redenzione, nelle tragedie Manzoni (che accettava sul piano teorico, ma non applicava, uno dei principi del dramma romantico, cioè la fusione di elementi comici e tragici) introduceva i cori, concepiti come indipendenti dall'azione e come «cantuccio» che gli consentiva di interpretare i fatti narrati senza alterare l'esigenza del «vero»: il Carmagnola comprende un coro sulla battaglia di Maclodio in cui si condannano le guerre fratricide fra Stati italiani, mentre due, sulla morte di Ermengarda e «Dagli atrii muscosi» (invito agli Italiani a non aspettare la liberazione dagli stranieri) sono nell'Adelchi.
Nella seconda tragedia il personaggio di Adelchi era stato inizialmente concepito come simbolo della estrema e sfortunata difesa dell'indipendenza italiana, in quanto Manzoni riteneva dapprima che i Longobardi non avessero oppresso le genti italiche ma si fossero fusi con esse; la correzione di questa ipotesi in seguito a ulteriori studi storici comportò la nuova e definitiva impostazione della tragedia e del suo protagonista.
Rappresentazione storica e meditazione religiosa coesistono anche nelle due Odi civili (già prima, però, erano state composte le canzoni Aprile 1814 e il Proclama di Rimini sulle vicende italiane successive alla battaglia di Lipsia), contemporanee alla prima stesura di quei Promessi sposi che, pur risentendo delle letture scottiane, furono certamente lo sbocco naturale e conclusivo dell'ispirazione manzoniana.
Negli ultimi anni, quando ormai la vena creativa si era esaurita, il concetto del «vero» si venne irrigidendo in Manzoni: nel 1845 pubblicò il trattato Del romanzo storico e, in genere, de i componimenti misti di storia e d'invenzione in cui era condannata come inconciliabile la fusione — che pure egli aveva realizzata nelle tragedie e nel romanzo — di storia e invenzione.