Capitolo 11: Letteratura dialettale, satirica e prosa scientifica nel Seicento
Paragrafo 4: La prosa scientifica nel Seicento


Nel naturalismo antiaristotelico Galilei continua la grande tradizione rinascimentale consapevolmente rinforzata dall'antibarocchismo caratteristico della Toscana (non come angusto umanesimo) e dall'uso della lingua italiana per motivi di destinazione della sua polemica culturale a un pubblico più largo, di quello dei dotti. Discepoli e seguaci reali e ideali di Galilei si incontrano nelle accademie scientifiche (Lincei, Cimento, Investiganti). Essi divulgano il metodo sperimentale e la prosa scientifica preoccupandosi soprattutto di approfondire specialisticamente le discipline sicché se in essi manca la polemica unitaria sui principi è presente la ricerca nei campi particolari.
Vincenzo Viviani (1622-1703), fiorentino, fu matematico e biografo di Galilei; Evangelista Torricelli (1608-47) era stato fatto conoscere a Galilei dal Castelli e fu inventore del barometro; Benedetto Castelli (1577-1643) di Brescia, sempre vicino a Galilei, fu studioso di idraulica; Bonaventura Cavalieri (m. 1647) fu precorritore del metodo infinitesimale; Lorenzo Bellini (1643-1704) scrisse i Discorsi di anatomia, polimetri e cicalate; medico fu Marcello Malpighi (1628-94); traduttore del De rerum natura di Lucrezio fu Alessandro Marchetti, allievo del matematico e naturalista napoletano Gian Alfonso Borelli (1608-79).
Francesco Redi1 (1626-98) di Arezzo, fu archiatra di corte presso Ferdinando II e Cosimo III di Toscana, fondatore di una scuola medica basata sull'osservazione della natura:
    La natura [scrive Redi] è la vera medica di tutti i mali, e ne sa molto più di quello che ne posson mai sapere tutte le arti, e tutte le diligenze di più sperimentati manipolatori delle spezierie e delle chimiche fonderie.
Galileianamente provò e riprovò la medicina greca, latina e araba e quella contemporanea, semplificò la terapia di molte malattie, lottò contro le superstizioni e le credenze ingenue, compose il primo trattato di parassitologia.
Frutto delle sue ricerche sono le Osservazioni intorno alle vipere (1664), Esperienze intorno alla generazione degli insetti (1668) e molti altri opuscoli in forma epistolare che tengono conto soprattutto dell'osservazione ma non trascurano la cultura bibliografica che nel Redi tocca le letterature classiche, l'araba, l'abissina, la spagnola. Nei Consulti medici Redi sorride delle chiacchiere degli empirici e raccomanda pratica di vita semplice. Al Magalotti che aveva «giracapi» risponde scherzando che le monache si fasciano il capo per non farselo girare, e che quei malesseri «intervengono giornalmente a tutti coloro che passeggiano per questa gran macchina mondiale. Si faccia un serviziale, e non pensi ad altro; e si affatichi un poco meno nel chiacchierare, e nello studiare a corpacciate». Redi scrisse anche un polimetro Bacco in Toscana, che egli chiamò ditirambo, ricco di spirito inventivo e di compiacimento linguaiolo, un divertimento brioso ma un po' stucchevole.
In Lorenzo Magalotti2 (1637-1712) di famiglia fiorentina, viaggiatore, diplomatico, letterato ma allievo di Viviani e Malpighi, la prosa scientifica si stempera in prosa d'arte per gli interessi dilettantistici e mondani dello scrittore. I concetti galileiani si sciolgono nella sensibilità preziosa di questo scrittore di opere (Lettere sui buccheri, Saggi di naturali esperienze, Lettere familiari contro l'ateismo) di vario stile.
Galilei e Cartesio sono a Napoli i simboli della lotta per una nuova cultura che sostituisce il logoro aristotelismo. I nuovi filosofi si raduneranno, dopo molti anni di attività, nell'accademia degli Investiganti; ma già nel 1649 Tommaso Cornelio aveva introdotto le opere di Cartesio il cui pensiero presentava un metodo positivo, privo di miti e di credenze magiche.
Ma già nel 1615 il carmelitano calabrese Paolo Foscarini nel libretto Sopra l'opinione dei pitagorici e del Copernico era stato sostenitore delle idee galileiane affermando che «quello che appartiene alle sacre Scritture non anco gli nuocerà, perciocché una verità non è contraria all'altra». Le nuove idee trovarono un terreno fecondo a Napoli dove convenivano gli intellettuali di tutto il vicereame, studiavano e poi ritornavano nelle province agitando le fiaccole della scienza.
Tommaso Cornelio (1614-86) di Rovito (Cosenza) si dedicò a studi di matematica, a Firenze conobbe il Torricelli, a Bologna Bonaventura Cavalieri, a Napoli insegnò per trent'anni matematica e medicina e formò generazioni di intellettuali, diffondendo le idee di Gassendi, Bacone, Hobbes, Cartesio. Fedele al metodo della dimostrazione e della sperimentazione, valendosi dell'aiuto della ragione e dei sensi e risalendo ai principi osservabili e discutibili di tutte le cose, combatté vigorosamente l'aristotelismo. La cultura di Telesio e Campanella, inoltre, aveva preparato l'ambiente napoletano al metodo che Cornelio divulgò con grande fortuna dalla cattedra. Gli argomenti più discussi erano: il metodo del filosofare, i principi delle cose naturali, come si formano le sensazioni, il moto dei corpi, il flusso e riflusso del mare etc. Come fisiologo approfondì le ricerche intorno alla circolazione del sangue. La polemica intorno alla nuova cultura si svolse a un certo punto intorno ai Progymnasma physica (1663) del Cornelio il quale venne attaccato dal monaco De Benedictis come cartesiano ed eversore della fede e difeso da D'Andrea e da Costantino Grimaldi.
Anche Giuseppe Valletta accettò le conquiste della nuova scienza, specialmente la filosofia atomistica e quella di Bacone distinguendo nettamente fisica e metafisica. Inoltre negò giuridicamente la legittimità delle persecuzioni contro gli eretici, si oppose alla pena di morte, criticò la mancanza di garanzie agli imputati presso i tribunali ecclesiastici, condannò la tortura come procedimento penale, rivendicò la legge di natura e richiese formalmente a Innocenzo XII che non venisse introdotta l'Inquisizione a Napoli.
Al metodo galileiano si rifece Carlo Musitano (n. 1635) di Castrovillari, lettore di medicina all'università di Napoli, autore di De lue venerea (1689) e De morbo gallico (1689), che col metodo sperimentale apri la strada alla iatromeccanica.
A Napoli studiò filosofia e a Roma teologia Tommaso Antonio Astorino (1651-1702) di Cirò, il più irrequieto dei calabresi formatisi nella cultura napoletana, studioso di matematica, diritto, medicina, astronomia, glottologia: «onniscio» fu chiamato per la prodigiosa dottrina. Carmelitano, telesiano, antiaristotelico, subì persecuzioni e dovette peregrinare da Bari a Zurigo, Basilea, Heidelberg, Marburgo, Groninga. Qui si addottorò in medicina con una famosa tesi De vitali oeconomia foetus in utero. In Toscana conobbe Marchetti, Redi, Viviani e fu amico del Magliabechi, a Siena fu principe dell'accademia dei Fisiocratici. Astorino si richiama alla tradizione dei pensatori calabresi che egli collega con la scienza moderna della natura.