Capitolo 11: Letteratura dialettale, satirica e prosa scientifica nel Seicento
Paragrafo 3: La prosa scientifica di Galilei


La reazione culturale della controriforma fu molto efficace in Italia nell'impedire soprattutto lo sviluppo della scienza che trovò, invece, minori ostacoli nei paesi protestanti.
Non mancò certamente la censura delle opere letterarie (le opere complete del Machiavelli sono stampate per l'ultima volta nel 1554, nel 1557 il Decameron intero), le opere di Bruno, Campanella, Vanini, Galilei furono stampate integralmente solo in Olanda, Francia, Germania.
Rotto il rapporto fra democrazia e Chiesa, diventata alleata usufruitrice del braccio secolare, il rapporto tra la Chiesa e gli intellettuali si pone soltanto nell'ambito del cosmopolitismo religioso, della Chiesa organizzatrice sovranazionale e snazionalizzatrice degli intellettuali stessi. Snazionalizzare significa distaccare scienza e vita, religione e vita popolare, rinunziare ad affrontare le questioni determinate e specifiche che la storia pone realmente in ogni momento con diverse caratteristiche nei diversi luoghi. Invece di esaminare i problemi si esaltavano i principi generalissimi dell'ortodossia, di Aristotele; o ai problemi reali si sostituiva la loro negatività etica.
Questa seconda maniera di considerare i problemi scientifici fu adoperata perché la Chiesa si trovava in fase di trionfalismo, ma fu un errore politico smisurato perché in tal modo la Chiesa ufficiale perdette l'occasione di collaborare con il mondo moderno. L'errore sarà ripetuto nel secolo XVIII, quando la Chiesa non riconoscerà il ruolo storico decisivo della classe borghese, la nuova struttura dirigente politica e sociale capace di stabilire un nuovo assetto della società.
Al tempo di Galilei il ponte tra la Chiesa e la storia era la scienza; l'opposizione e la condanna di Galilei rappresentano l'incapacità di organizzare la cultura contemporanea. Nello studio dei problemi scientifici del Seicento si erano venuti maturando il travaglio critico degli umanisti e la nuova concezione dell'uomo e dell'universo acquisita nel Rinascimento. Le questioni in germe o in sviluppo erano moltissime: problema del metodo fondato sulla misurazione e sul calcolo, metodo matematico come archetipo di conoscenza razionale, nascita del calcolo logaritmico, del calcolo delle probabilità, le velocità balistiche, la sistemazione logica della meccanica, lo sviluppo della iatrochimica, delle scienze biologiche (studi sulla circolazione del sangue, sulla generazione spontanea, scoperta del mondo microbiologico) etc.
Le scoperte astronomiche di Galilei costituirono una rivoluzione scientifica e gnoseologica, dando suffragio al sistema cosmologico che Copernico aveva enunciato nel 1543 e che era stato considerato un'ipotesi utile per i calcoli matematici dell'astronomia. L'ordine cosmologico di Aristotele ufficializzato dalla Chiesa e la tradizione scolastica venivano colpiti dal nuovo modo di vedere i rapporti tra la scienza e la tecnica, tra la scienza e la società.
Galileo Galilei1 (1564-1642) si sentì fin dalla giovinezza collegato con la cultura toscana; a Pisa sua città natale lo studio delle opere di Archimede lo guidò a ricerche sul centro di gravità, sul peso specifico dei corpi, sul rapporto tra forza e velocità, sulla legge d'inerzia; tra le sue prime scoperte la bilancia idrostatica e la legge della caduta dei gravi. Alla giovinezza pisana (1589-92) in cui fu lettore di matematica allo Studio appartiene un significativo capitolo in terzine «contro il portar la toga», emblema di differenziazione accademica. La veste è segno di distinzione
  1. (Questa pospone a i monaci i conversi,
  2. antepon l'oste a i suoi lavoratori,
  3. e da i padron fa i sudditi diversi;
  4. dov'in que' tempi non eran signori,
  5. conti, marchesi o altri bacalari;
  6. né anche poveracci o servidori […]
  7. ella sta com'io ti dico,
  8. che 'l vestir panni e simil fantasie
  9. son tutte quante invenzion del Nimico;
  10. come fu quella dell'artiglierie,
  11. e delle streghe e dello spiritare […]
  12. Se per disgrazia un povero dottore
  13. va per la strada in toga scompagnato,
  14. par quasi ch'e' ci metta dell'onore
e Galilei ritiene che sia stata inventata da qualche burlone per canzonare gli ignoranti che giudicano la sapienza in relazione alla «toga di rascia [= panno grossolano] o di velluto» che uno porti.
Negli anni successivi trascorsi a Padova in ambiente stimolante costruì il cannocchiale. Scoprì quattro dei satelliti di Giove di cui diede notizia nel Sidereus nuncius (1610) ottenendo plauso da Keplero, quindi si trasferì a Firenze come primario matematico allo studio di Pisa e primario matematico e filosofo del granduca Cosimo II. Fu accolto a Roma da Paolo V, nell'Accademia dei Lincei.
Ma quando in un opuscolo sulle macchie lunari prese partito per la teoria copernicana cominciò ad essere avversato dagli ambienti curiali nonostante egli cercasse, in una lettera al discepolo Benedetto Castelli, di separare il mondo della teologia da quello della scienza.
Nel 1616 i teologi del S. Uffizio condannavano la dottrina copernicana e il cardinale Bellarmino invitava Galileo ad abbandonarla. Contro il gesuita Orazio Grassi scrisse il Saggiatore (1623) per confutare la tesi sull'origine e natura delle comete, prosa polemica che svela i fallaci sillogismi. Dopo che il cardinale Maffeo Barberini fu nominato papa (Urbano VIII), Galilei, che gli era amico, ebbe licenza di stampa per il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632) che dedicò al granduca. Il libro fu sequestrato, Galilei fu chiamato dal S. Uffizio presso il Tribunale ecclesiastico, processato, costretto all'abiura (sotto minaccia di essere torturato) e condannato al carcere perpetuo e a recitare per tre anni, ogni settimana, i salmi penitenziali. Poté trascorrere gli ultimi anni nel domicilio coatto nella sua villa di Arcetri attendendo alla composizione dei Dialoghi delle nuove scienze (1638) che furono pubblicati in Olanda.
Galilei venne sostituendo al concetto di autorità (Aristotele e testi sacri) che costituiva la base della cultura cattolica quello di esperienza. La sua fu una polemica di metodo, in quanto Galilei differenziava la teologia dalla scienza; questa, indipendente dall'altra, assumeva vero valore perché nasceva da ricerca e non da affermazioni non dimostrabili. Come già aveva scritto Campanella
  1. (Natura, da Signor guidata, fece
  2. nel spazio la commedia universale,
  3. dove ogni stella, ogni uomo, ogni animale,
  4. ogni composto ottien la propria vece)
la natura, creazione di Dio, è il libro in cui le leggi sono scritte a caratteri matematici mentre i testi sacri, allegorici, sono presentati in modo adatto alle menti comuni.
Per Galilei la natura non deve essere solo ascoltata ma anche interrogata per potere scoprire le leggi dei fenomeni, le proporzioni matematiche tra fenomeno e fenomeno, le misure. Lo scienziato non considera le differenze qualitative dei fatti ma riduce tutto a quantità, a rapporti di misure; verificati i dati empirici con le leggi, torna all'esperienza per chiedere conferma delle leggi scoperte e dimostrate. Lo scienziato univa l'istanza matematica a quella empirica in un processo sperimentale.
Per intendere meglio il valore del metodo galileiano si pensi che le correnti neoplatoniche e neopitagoriche facevano corrispondere fenomeni e numeri attraverso il valore «magico» della matematica, per cui certi numeri avevano la «virtù» di rappresentare simbolicamente certi fenomeni e di ricavarne le proprietà. Galilei, il quale considera che il libro della natura «è scritto in lingua matematica e i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche» ebbe come precursore nel processo del metodo Leonardo per il quale l'esperienza era «madre di ogni certezza»; prima che Bacone avesse organizzato il sistema sulle leggi del metodo sperimentale, Galilei nel De motu gravium (1590) aveva racchiuso antiaristotelicamente le proprie personali esperienze.
La fiducia nella natura veniva a Galilei anche dalla constatazione delle applicazioni della tecnica e dell'intervento dell'uomo che può dominarla conoscendone l'operare. In una pagina famosa lo scienziato ricorda i suoi rapporti con i tecnici dell'arsenale veneziano:

atteso che quivi ogni sorte di strumento e di machina vien continuamente posta in opra da numero grande d'artefici, tra i quali, e per l'osservazioni fatte da i loro antecessori, e per quelle che di propria avvertenza vanno continuamente per se stessi facendo, è forza che ve ne siano de i peritissimi e di finissimo discorso.

Galilei sa che le sue scoperte non sono di carattere accademico e che il loro valore storico apre una nuova era gnoseologica, una nuova civiltà per gli uomini. Perciò l'attività scientifica è da lui unita alla propaganda culturale.
Lo scienziato cerca l'appoggio delle classi dirigenti e tenta di conciliare la teoria copernicana con il dogma cattolico («se bene la Scrittura non può errare, potrebbe nondimeno talvolta errare alcuno de' suoi interpreti ed espositori […] quando volessero fermarsi sempre nel puro significato delle parole»); nella lettera al Castelli, in quella a Cristina granduchessa di Toscana e in altre due a Pietro Dini fa conoscere la propria posizione rispettosa della materia di fede ma appartenente a un'altra sfera. Ma il principio dell'autonomia della ragione scientifica implicava la limitazione della sfera della verità religiosa e nella condanna del sistema copernicano prevalse l'ala reazionaria della Chiesa, riaffermante in modo assoluto il diritto della Chiesa di decidere in merito a ogni verità.
Galilei per primo abbandonava l'uso del latino nell'esposizione scientifica sia nella polemica contro il principio di autorità sia in favore della ragione come strumento di ricerca nel campo delle verità naturali. Nel Saggiatore (in cui esamina la Libra del gesuita Lotario Sarsi, pseudonimo di Orazio Grassi) Galilei distingue ancora una volta le verità di fede da quelle di scienza, e all'autorità delle opinioni altrui citate dal Sarsi contrappone con vivace polemica («Signor Sarsi, la cosa non istà così. La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi agli occhi») il libro della natura.
La prosa scientifica di Galilei — che non può essere letta calligraficamente o antologicamente — in quest'opera ha, nella sua lucidità, varietà di stile: alto quando lo scrittore parla del fascino della ricerca e delle «ammirabili speculazioni», ironico e polemico quando vuole colpire l'ignoranza e la malafede e lotta contro l'errore perché questo non si diffonda e si radichi. Dopo aver dichiarato confuso il pensiero del Sarsi che cita i grandi scienziati senza conoscerli Galilei deride il gusto metaforico del gesuita e chiarisce il carattere fantastico della metafora barocca. Ma in quasi tutte le occasioni lo scienziato prima irride gli argomenti dell'ingenuo legiferante Sarsi e poi nell'esame severo li sgretola e li riduce in trucioli.
Il Dialogo dei due massimi sistemi è una grande commedia filosofica (tale la vide il Campanella) con tre interlocutori: Sagredo (veneziano aperto alle novità), Salviati (banchiere fiorentino e allievo di Galilei del quale difende le tesi), Simplicio (personaggio che desume il nome da un commentatore di Aristotele, fedele all'autorità del passato).
L'azione si svolge in tre giornate nel veneziano palazzo di Sagredo. «I discorsi nostri — dice il Salviati — hanno a essere intorno al mondo sensibile e non sopra un mondo di carta» e si prepara a confutare l'ordinamento cosmologico aristotelico che considerava l'uomo centro dell'universo, sui presupposti che la superficie interna della sfera della Luna suddivideva l'universo in due regioni del tutto differenti e regolate da leggi diverse; la terra era la zona del mutamento, nascita, morte e corruzione; la zona celeste era immutabile, eterna e perfetta, regolatrice della terra, della sua vita e di quella dell'uomo.
Alla fine Simplicio resterà confuso e, con lui, la presunzione aristotelica crolla sotto i colpi che la scienza assesta ai pregiudizi. Anche quest'opera appartiene alla polemica galileiana come liberazione dall'ubbidienza cieca, dalla volontà conservatrice della Chiesa.
Lo scienziato vede oggettivamente la realtà ma sa che l'organizzazione della cultura, per mezzo della quale si possono raggiungere tutti gli strati delle popolazioni, è nelle mani della Chiesa e della Chiesa vorrebbe l'appoggio per fare conoscere il sistema copernicano. La frattura fra Chiesa e scienza avrebbe ritardato lo sviluppo della ricerca scientifica che era una questione di interesse pubblico.
Egli è tanto convinto della superiorità della nuova scienza nei confronti della cultura tradizionale che resta sorpreso, oltre che colpito, dalla citazione del S. Uffizio, «atto che non si vede eseguire se non sopra i gravemente delinquenti». Ma gli eredi settecenteschi di Galilei andranno, nella opposizione, oltre il maestro e concluderanno che lo spirito illuministico galileiano richiede di essere integrato con la polemica intransigente contro il pregiudizio religioso.
Le condanne di Galilei rappresentano una pagina oscura nella storia italiana, documentano come gli interessi della Chiesa erano rivolti a un cosmopolitismo reazionario che in nome del potere curiale alleato con altri poteri politici non consentiva la modernità e il progresso della cultura, né la partecipazione del popolo alla cultura, né l'alleanza tra intellettuali e popolo.
L'occultamento della verità ha corrotto in Italia il costume civile generando paura nei soggetti i quali si son venuti creando la concezione che gli intellettuali siano sempre stati una «comunella» e non una guida, che il costume e la vita politica siano dominati dagli intrighi di cui la Chiesa si era servita per nascondere il vero. Queste paure sono diventate endemiche in una nazione in cui le classi dirigenti hanno riprodotto se stesse, in cui il potere si è sempre riprodotto con imparentamenti e compromessi ai vertici.
In tale sistema pantanoso è stato possibile che Torquato Accetto scrivesse il trattatello Della dissimulazione onesta (1641), teorizzatore del modo di nascondere ciò che si è; e che questo trattatello sulla scissione tra sentire religioso e agire con finzione, sulla giustificata deresponsabilizzazione morale, trovasse compunti ammiratori.



1 Galileo Galilei
Ingegno versatile, scienziato lontano da astrazioni metafisiche e convinto della inscindibilità dei problemi teoretici da quelli tecnici, è ormai chiaro da tempo che, nello svolgimento della nostra civiltà, GALILEO GALILEI deve essere valutato non solo nel contesto di una storia del pensiero ma anche in quello delle forme artistiche.
Fornito di solida educazione letteraria, ebbe un senso fortissimo della tradizione che, congiunto alla sua mentalità concreta e scientifica, lo portò a rigettare le forme ridondanti e metaforiche dell'allora imperante barocco e a dar vita a uno stile definito scultoreo dal Leopardi e fondato sulla chiarezza, l'armonia e l'ordine intellettuale.
Già nelle opere in latino (Theoremata circa centrum gravitatis solidorum, De motu, Sidereus nuncius), l'originalità della scrittura si rivela nel ripudio del lustro formale del latino scolastico in voga nelle scuole e nel porre l'accento sulla coerenza del pensiero. La proprietà e sicurezza di linguaggio (che qualcuno ha definita toscana e fiorentina, altri rinascimentale, altri scientifica) si manifesta più chiaramente negli scritti in volgare, e i suoi interessi letterari, attestati dalle postille e dai commenti ai testi di Dante, Petrarca, Tasso, Ariosto (suo autore preferito), contribuirono alla formazione della sua prosa.
Elegante ma non ricercata, aperta a molteplici variazioni di toni (dal fine umorismo alla gravità meditativa, dall'aspra polemica alla commozione e all'entusiasmo per le nuove scoperte), la prosa di Galilei, come è stato detto, è il riflesso del suo temperamento di uomo e di scienziato, l'espressione compiuta della sua anima fervida e nello stesso tempo padrona di sé.