Capitolo 10: Società e letteratura nell'età barocca
Paragrafo 2: La «ragion di Stato»


L'autonomia, secondo il Machiavelli e il Guicciardini, della politica dalla morale, che apre le porte al pensiero moderno è condannata dagli antimachiavellici del Seicento e dall'assolutismo della controriforma. Tuttavia la realtà politica secentesca, sperimentata nella sua spregiudicatezza e violenza dalla diplomazia e dalle guerre delle monarchie assolute, e sofferta dagli abitanti dell'Italia, costituiva l'evidenza del pensiero del Machiavelli. La scoperta compiuta dal segretario fiorentino era pratica corrente e sotto gli occhi di tutti; ma le cortine di ipocrisia gettate dalla controriforma, e le preoccupazioni religiose di quanti avvertono il contrasto — in mezzo a naturali incertezze, dubbi, scrupoli, doppie verità, giustificazioni, simulazioni, paure, terrori — tra la fredda e necessaria azione politica e la condotta morale della coscienza, producono una elaborazione di pensiero intorno alla scienza politica, o «ragione di Stato», nel tentativo di trovare soluzioni valide.
In un'età di costume diplomatico e di compromessi, di vita appesantita dai poteri assoluti, nel rapporto tra individuo e potere — del quale abbiamo visto gli eroici documenti di Campanella, Bruno, Sarpi, di eretici perseguitati ed esuli in Europa — si fu soliti giustificare eticamente e religiosamente il potere assoluto: considerando che gli atti a sé stanti del sovrano possono essere rei, ma salvifica è la sostanza dell'autorità; come venne dimostrando la Chiesa della controriforma che si alleava con i sovrani per penetrare nella vita dello Stato con gli ordini religiosi, con i consiglieri di diritto ecclesiastico.
Traiano Boccalini1 (1556-1613), governatore di città nello Stato pontificio (Benevento, Argenta, Matelica, Sassoferrato), profugo a Venezia per il suo antispagnolismo, nei Commentari e nella Pietra del paragone politico è, per il suo odio verso la Spagna, contrario al Machiavelli e alla ragion di Stato ma utilizzatore di Machiavelli e Tacito in quanto svelatori delle perfidie dei tiranni. Fautore di libertà italiana, vagheggiò una repubblica aristocratica sul modello veneziano.
Già fin dalla fine del Cinquecento il veneziano Paolo Paruta (1540-1598), che ebbe da Venezia incarichi politici e fu ambasciatore presso Clemente VIII, si era proposto nei dialoghi Della perfezione della vita politica il problema del rapporto tra vita politica e morale e aveva considerato come base la virtù. Paruta aveva l'occhio alla repubblica veneziana quando indicava l'esercizio della virtù in una forma di governo partecipe di monarchia, aristocrazia e democrazia; idealizzava la forma politica veneziana e non ne intuiva la mancanza di futuro politico in un quadro europeo di grandi dimensioni. Ma la situazione stessa dell'Italia non era oggetto di meditazione profonda per il Paruta che, del resto, quando afferma che la politica del buon governo si riconosce dagli effetti che la virtù produce, l'assoggetta a una sanzione morale. Paruta scrisse anche i Discorsi politici, una Storia della guerra di Cipro, una Storia veneziana che continua quella di Pietro Bembo e un Soliloquio, autobiografica testimonianza della «storia di un'anima» in periodo di transizione.
Di solito la conciliazione tra sentimento religioso e pratica politica non superava l'antitesi, era donazione di sé alla fede, come avviene al piemontese Giovanni Botero2 (1543-1617), intellettuale cosmopolita, gesuita, insegnante in Francia, Spagna, segretario di Carlo Borromeo, legato di Carlo Emanuele I al cui servizio morì. Poligrafo fecondissimo, nei dieci libri Della ragioni di Stato (1589) propone l'accordo tra vita politica e religiosa nella pratica confessionale. L'elemento nuovo che egli introduce nella vita politica è quello economico, soprattutto in Delle cause della grandezza delle città (1588) e nelle Relazioni universali, fonte di notizie geo-economiche e di statistiche.
Ludovico Zuccolo (1568-1630) di Faenza considera la ragion di stato come un valore positivo che acquista significato qualitativo in relazione alla forma di Stato che si vuole creare o continuare; non è qualcosa di astratto, può diventare buona o cattiva secondo l'uso che ne fa il buon principe. Ma si cade, così, nell'empirismo.